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7/10

Paul, Mick e Gli Altri regia di Ken Loach

Sociale
recensione di Alessandro Pascale

 

Racconta la storia di cinque ferrovieri dello Yorkshire che affrontano la privatizzazione del servizio ferroviario di manutenzione per il quale lavorano. Saranno costretti a confrontarsi con la precarietà e l'insicurezza del nuovo mercato del lavoro. Il film fu ispirato dal fallimento delle società ferroviarie Connex South Central e the Connex South Eastern. La società Connex perse la concessione per entrambe le linee ferroviarie per la cattiva gestione.

 

Questa è una delle tante storie del neoliberismo.

È cioè una storia di privatizzazioni, liberizzazioni, precarietà lavorativa, instabilità familiare e sentimentale, ricatto, paura, bugie e sangue.

Basta poco per fare un film del genere. Basta leggere il giornale e parlare con la gente che ci circonda. Basta poco. Eppure solo Ken Loach riesce a fare film del genere con una precisione, una costanza, una tragica bellezza che hanno un chè di struggente eppur delicato.

Delicato perchè il racconto non è angusto, verboso o retorico. Loach sbatte la camera in faccia ad un gruppo di operai inglesi, li lascia parlare. Non sono scienziati né filosofi. Sono esseri umani che scherzano, ridono, lavorano duro, bestemmiano, fanno scherzi, cercano di risolvere i problemi quotidiani. Sbagliando spesso, non c'è dubbio. In ambito lavorativo e non solo.

Pochi hanno un salda coscienza di classe, anche se conoscono i regolamenti e assistono con stupore e asfissia alle assurde irrazionalità imposte dal libero mercato: strumenti nuovi sfasciati per ordini dall'alto; la manodopera che viene prima sprecata in eccesso un attimo dopo è clamorosamente carente per risparmiare; il completo rigetto delle condizioni minime di sicurezza sul lavoro; il generale peggioramento del servizio ferroviario pubblico...

Ma il deterioramento osservato e raccontato da Loach non è solo economico-materiale, che nonostante tutto viene subìto e accettato dalla gran parte degli stessi protagonisti. A far paura è la degenerazione morale e umana che colpisce Paul, Mick e gli altri.

Umiliati e degradati, senza più nessuna sicurezza di lavoro e di salario, questi uomini vengono gettati nel regno della giungla, anzi, in quel che Hobbes chiamava lo “stato di natura”. Dove tutto è permesso e tutto è lecito per il mantenimento della propria sopravvivenza, che rappresenta la prima legge naturale da raggiungere. Questo è l'aspetto più sconcertante messo in mostra da Loach, di cui i giornali e le televisioni non vi daranno mai segnale: gli operai mentono ai propri stessi compagni. Mentono perfino a sé stessi. “E' andato tutto bene. Va tutto bene. Andrà tutto bene.”

Non è vero. Per niente. E lo sanno. Ma ammetterlo vorrebbe dire accettare l'idea che ormai si è stati sconfitti. Che si stava meglio prima. Che il cambiamento avvenuto non solo è stato violento e menzognero, ma che è avvenuto in maniera indolore, senza aver avuto la forza di provare a combatterlo. La tragedia vera espressa dal film è la sconfortante solitudine di questi operai, abbandonati a sé stessi da sindacati impotenti e da una politica inesistente, e non esenti da colpe per la loro stessa inerzia, di cui sono ben consapevoli.

L'epilogo messo in scena da Loach non è che la perfetta (e concretissima) metafora di un dramma neorealista di prim'ordine.

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