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R Recensione

6/10

Romeo & Juliet regia di Carlo Carlei

Sentimentale
recensione di Erika Sdravato

Il funestato amore tra due adolescenti è un classico del teatro mondiale e poi in televisione e al cinema, eppure da 40 anni l'ambientazione non è stata più Verona, in Italia. L'intenzione dello sceneggiatore premio Oscar Julian Fellowes, del regista Carlo Carlei, di Swarovski Entertainment e Amber Entertainment con questo ultimo adattamento del dramma era di rettificare tale incongruenza. Le riprese sono avvenute in location ad hoc, Hailee Steinfeld e Douglas Booth interpretano i due protagonisti al fianco di un cast internazionale all-star nei panni di amici e parenti, i membri delle due casate rivali di Montecchi e Capuleti.

Quando ci si avvicina a Shakespeare e si tocca con cinepresa una qualsiasi delle sue pietre miliari, si sa, l'agguato è dietro l'angolo. Soprattutto se si tratta di sterili e presunti tributi o quando si ha poco in più da aggiungere. Questo è esattamente il caso del Romeo & Juliet di Carlei, in cui la tribolatissima storia d'amore tra i due rampolli di casate antagoniste si traduce in pedissequo e pedestre adattamento su grande schermo. Sotto più punti di vista, ci sono tutte le premesse per lavorare poco (ma non per questo male): si sceglie un capolavoro intramontabile (con gli inevitabili pro e contro che questo comporta); si opta per un cast che attinge un po' alle serie tv di maggior successo (Ed Westwick di Gossip Girl, Damian Watcyn Lewis di Homeland e la qui monocorde Natascha McElhone di Californication) ed un altro po' alla sfilza di pluripremiati attori over50 di indiscusse capacità artistiche (come il Golden Globe Paul Giamatti e il vincitore di un Orso d'Argento e di un Gran Premio della Giuria Stellan Skarsgard); si cerca di attualizzare il materiale preesistente con l'unica lungimiranza di scritturare due giovanissimi, nel tentativo di captare l'interesse di masse di teenager per far brillare il prodotto finale; si rientra negli schemi filologici dell'opera-prima per ambientare il film nella Verona rinascimentale e nei magici palazzi storici di Mantova. Se non fosse per la bellezza a dir poco sconcertante di Romeo (discretamente interpretato da Douglas Booth), per l'ossequiosa fedeltà al testo, per l'incredibile pregevolezza della storia narrata e per l'assoluta eccellenza dei costumi di Carlo Poggioli (nonchè, con essi, per l'attinenza dell'assetto scenografico curato da Tonino Zera), questo film non sarebbe altro che una banalizzazione semplicistica dell'omonima tragedia di fine Cinquecento, contraddistinta da una fotografia pittorica (come ci suggerisce anche l'immagine di chiusura in cui Romeo che muore tra le braccia della sua Giulietta omaggia inadeguatamente La Pietà Vaticana michelangiolesca) che, a tratti, suscita la netta sensazione di teatro filmato suggellato da un montaggio quasi dilettantistico a causa della sua eccessiva staticità. Difficile poi non osservare la piattezza totale della recitazione di Hailee Steinfeld, la quale porta in scena una Giulietta che, completamente priva di nerbo, piange per finta (con tanto di lacrime palesemente artificiali ad inondare le giovanissime gote) senza troppo eccedere nella sofferenza subita e senza calarsi pienamente in una delle più sospirate eroine della letteratura mondiale, limitandosi ad accarezzare amabilmente in rima il suo bellissimo Montecchi.

Certo, nel testo shakespeariano si evince che Giulietta è poco meno che quattordicenne, quindi in tal senso può trovare giustificazione la presenza della Steinfield come protagonista, ma purtroppo la sua interpretazione non rende giustizia alla celebrazione dell'amore elevato e puro di cui dovrebbe essere l'esponente principale insieme all'adorato Romeo, probabilmente a causa della sua immaturità ed acerbità anagrafiche. Mai nulla di verosimilmente spontaneo, violento, sentito: è come se il regista volesse continuamente smorzare i toni, relegando le passioni ad un equilibrio forzato, ingiusto e talvolta noioso. A seguito della visione dell'ennesima versione di Romeo e Giulietta, sorgono spontanee - e quasi obbligatorie - alcune domande: quale la novità apportata da Carlei? Che ricerca sottotestuale emerge nel film (laddove, ovviamente, se ne volesse introdurre l'esigenza)? Quale ventata di freschezza soffia sulle due ore di proiezione? Per non rispondere perentoriamente a tali quesiti, non resta che accontentarsi ed ammirare la grazia e l'eleganza che talune inquadrature e ricostruzioni (come il celebre dialogo al balcone e la prima ed unica notte d'amore) offrono generosamente allo spettatore. Chissà se almeno il doppiaggio italiano andrà in qualche modo a rafforzare, almeno sotto il profilo specificatamente vocale, le performance attoriali o neanche quello sarà in grado di risollevare le sorti della pellicola. Alle sale a partire dal 12 Gennaio l'ardua sentenza.

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