Still Life regia di Uberto Pasolini
DrammaticoJohn May è un impiegato comunale che conduce una vita tranquilla e solitaria. Nulla di eccezionale, eccetto che il suo è un lavoro decisamente insolito: contattare i parenti più prossimi di coloro che sono morti in completa solitudine, e nel caso non si trovi nessuno, presenziare al loro funerale.
Le cose però cambieranno quando il suo reparto verrà ridimensionato e John si ritroverà in mano il suo ultimo caso.
La prima inquadratura è quella di una piccola abbazia, nel cuore della campagna inglese, sotto un cielo grigio. All'interno si sta celebrando un funerale, ma nessuno è presente, eccetto che per il prete. E per un uomo, che indossa un cappotto nero e ha in mano una borsa, di quelle marroni che si usano solo per il lavoro. Anche durante la successiva sequenza di funerali, che comprende cerimonie delle religioni più diverse e funge da apertura al film, lui è sempre lì, a sostituire parenti e/o amici che non si sono presentati per l'ultimo saluto.
L'uomo di cui stiamo parlando è John May, un dipendente del Comune di Londra, e questo è il suo insolito lavoro. Interpretato da un magnifico Eddie Marsan, finora inedito nel ruolo di protagonista, John è una persona meticolosa e scrupolosa, che riserva sempre un'estrema cura nel trattamento dei dati personali e nell'organizzazione dei documenti necessari in caso di decesso, fino a livelli quasi maniacali.
Un vero specialista nel suo campo insomma, e forse proprio per questo un uomo decisamente solo, proprio come le persone di cui si occupa. John vive infatti fra il suo lavoro e una monotona residenza in un piccolo appartamento nella periferia di Londra, dove abitualmente cena a base di tonno in scatola.
Il fatto che questa prima parte non risulti affatto noiosa e inerte come potrebbe sembrare è certamente merito della recitazione di Marsan, ma forse ancor di più di Uberto Pasolini. Più noto come produttore nominato all'Oscar di un cult come The Full Monty, Pasolini rivela una vera dote nel ruolo di regista, scegliendo un approccio preciso e controllato, esattamente quanto il suo protagonista. Ogni scena e inquadratura rispecchiano perfettamente l'atteggiamento di profondo rispetto che John nutre nei confronti del suo lavoro e ciò che esso comporta, riuscendo a creare qualcosa di vicino a un'aura solenne, non dissimile da quella che si respirerebbe a un funerale.
Lo stesso vale per i brevi, preziosi scambi di dialogo che John ha con varie persone nel corso del suo lavoro quotidiano, che sebbene siano spesso non privi di humour (è un film inglese dopotutto), rivelano sempre un certo distacco e disinteresse di John nei confronti dei vivi. Perché il suo vero interesse sono appunto i morti, anime perdute che un tempo erano persone reali con passioni, relazioni, storie da raccontare e che ora vivono solo nelle immagini raccolte da John in un unico, grande album fotografico. I delicati pezzi musicali per pianoforte di Rachel Portman ci fanno intuire che egli è realmente affascinato dalla varietà di esseri umani che gli sono capitati fra le mani, ma che allo stesso tempo è consapevole di condividere con tutti loro il medesimo, profondo destino di solitudine.
Ma proprio a causa della meticolosità del suo lavoro John risulta in definitiva essere un costo eccessivo per un'amministrazione comunale in tempo di crisi, e a circa metà pellicola egli si ritrova tutto ad un tratto disoccupato. C'è però un ultimo caso rimasto in sospeso, quello dell'alcolizzato Billy Stoke, che comincierà davvero a smuovere qualcosa nella sua vita, specialmente grazie all'incontro con Kelly, la figlia di Billy, interpretata da una toccante Joanne Froggatt.
Il tutto è raccontato fino alla fine con straordinaria delicatezza e precisione, e anche se a un certo punto potreste intuire come andrà a finire, vi sembrerà comunque che accada nel modo più naturale possibile, e dunque proprio per questo nel modo più inaspettato.
Still Life (da non confondere con l'omonimo film cinese del 2006) è un gioiello da guardare e conservare, un piccolo grande film che tratta, più che della morte, della vita e della percezione che se ne ha una volta che questa è inevitabilmente finita, e che ha meritatamente vinto il premio alla miglior regia nella sezione Orizzonti del 70° festival del cinema di Venezia.
Tweet