R Recensione

7/10

La legge del mercato regia di Stéphane Brizé

Drammatico
recensione di Fabio Secchi Frau

All'età di 51 anni e dopo 20 mesi di disoccupazione, Thierry inizia un nuovo lavoro che lo porta presto faccia a faccia con un dilemma morale. Quanto è disposto ad accettare per mantenere il suo posto di lavoro?

  Conflitto senza fine, quello fra Thierry e il lavoro. E il cinquantunenne disoccupato (un Vincent Lindon qui meritevole di una Palma d’Oro per la migliore interpretazione maschile a Cannes), che ha deciso che trovare a tutti i costi “un” nuovo lavoro (quello di guardia di sicurezza in un grande magazzino) è la ragione di una vita, si trova stritolato in mezzo ai problemi di un figlio disabile, di un mantenimento familiare e del denunciare o meno le scorrettezze dei suoi colleghi. Una possibile drastica soluzione a questa crisi verticale che si protrae diventano un “caso di coscienza”…

  Stéphane Brizé, al sesto film dopo Quelques heures de printemps, Mademoiselle Chambon e Entre adultes, da lui pensati e scritti, praticamente mette in scena una porzione di vita vissuta, mescolandola a scene d’intimismo e una critica sociale prevaricante e convinta. Al servizio di un’idea di cinema così osticamente integra: questa volta un cast di non professionisti, fatta eccezione per il protagonista.

  Da notare, che manca del tutto un commento musicale perché La legge del mercato è improntato su uno stile documentaristico, il cui oggetto di esplorazione sono le conseguenze del liberalismo sulla nostra vita quotidiana, conseguenze che non conoscono tregua. La Francia non se la passa meglio dell’Italia nel mondo del lavoro e, per chi ha già una certa età, trovare un’occupazione porta solo a forti frustrazioni. Se poi lo si vuole trovare a qualunque prezzo, allora l’esaurimento nervoso è vicino. Bisogna rinunciare alla propria dignità per la propria moglie, per i propri figli. La legge del mercato, insomma, è spietata e non la si può evitare. Fra uffici di collegamento, si barcolla nel realismo della “riclassificazione”, dei lunghi mesi di formazione, nel business della “costruzione” dei dipendenti” e sulla loro non qualificazione, si delinea la violenza economica più grave dei nostri tempi, che è anche quella più stigmatizzata.

  Sicuramente uno dei migliori ruoli nella colossale carriera di Vincent Lindon, ma forse non così meritevole di un riconoscimento a Cannes. Migliore perché Lindon si farà vittima e strumento della legge del mercato. C’è dell’impegno in questa opera cinematografica. Non è Ken Loach, non sono i fratelli Dardenne, ma c’è un percorso artistico-sociale evidente.

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