Tomogui (Backwater) regia di Shinji Aoyama
DrammaticoToma è un ragazzo di diciassette anni che vive con il padre in una cittadina in riva al fiume. Pur essendo disgustato dagli abusi sessuali che il padre esercita sulla sua compagna Kotoko, inizia a mettere in atto i suoi stessi comportamenti. Quando Kotoko rimane incinta, Toma riesce a convincerla che la scelta migliore è partire. Con l'aiuto della madre, la sua ragazza Chigusa e Tomoko, Toma riesce a limitare l'ondata di violenza, anche se il male in lui non se n'è andato.
Come spesso accade, il cinema giapponese sa rinnovarsi. Il film di Shinji Aoyama è uno dei più dinamici del festival di Locarno. La macchina da presa si muove tra gli alberi in riva al fiume e ci mostra lentamente una storia di abusi sessuali. E' un film che ha un peso, soprattuto per come tratta il male: talvolta mostrato, talvolta no. Il male non se ne va mai via, tant'è che alla fine del film il giovane protagonista cerca di strozzare la sua fidanzata Chigusa, con quest'ultima che lo scopre deridendolo. Il film ha come fulcro la violenza sessuale sulle donne, come ha spiegato il regista durante la presentazione: "il film è dedicato alle donne che sono morte durante la seconda guerra mondiale". Lentamente la pellicola diventa un dramma giallastro, la mano finta della madre di Toma, coperta da un guanto in lattice, ne è l'avvisaglia. Sulla scia di Oshima, Aoyama guarda a una sessualità che eguaglia la morte. Ci sono accenni di rapporti incestuosi, che poi si svelano come fittizi (Toma sta per avere un rapporto sessuale con la compagna del padre, convinto che fosse incinta di quest'ultimo). Il film si apre con un'inquadratura sulle acque del fiume che si asciugano. Si chiude con il fiume che si riempie. Dentro di esso, ora, c'è la figura del padre, ammazzato dalla mano finta della sua ex moglie. Le acque sono piene, ma il male in Toma non svanisce, si è solo svelato ai suoi familiari e al pubblico.
Tweet