R Recensione

6/10

Freeheld regia di Peter Sollett

Drammatico
recensione di Eva Cabras & Giulia Betti

Nei primi anni 2000, il detective della Polizia del New Jersey, Laurel Hester, incontra la giovane Stacie Andree e inizia con lei una relazione segreta. Per evitare ripercussioni sul lavoro, la Hester tiene infatti nascosta la propria omosessualità, ma quando la malattia colpisce, la coppia uscirà allo scoperto per rivendicare i propri diritti.

Eva Cabras (Voto 8):

Dietro a Freeheld si cela la vera storia e la vera battaglia di Laurel Hester e Stacie Andree, due donne in corsa contro il tempo che vogliono soltanto affrontare la tragedia come qualsiasi altra coppia al mondo. La detective Hester scopre di avere un cancro ai polmoni al quarto stadio, praticamente una sentenza di morte, e il suo unico obiettivo è quello di poter traferire la propria pensione alla persona che ama. La lotta di Laurel è epocale, avanguardista e devastante per la sua intensità, catturata dal film di Peter Sollett con una coerenza storica impressionante. A dare corpo alle due eroine di Freeheld ci sono la straordinaria Julianne Moore ed Ellen Page, che ha avuto la possibilità di preparare il personaggio stando a stretto contatto con la vera Stacie per mesi. Il risultato è una fedeltà nella ricostruzione al limite del documentario, a partire dal trucco e i vestiti, fino al modo di parlare e alla gestualità.

Il delicato tema della malattia e quello altrettanto scottante dei diritti per le coppie omosessuali contribuiscono a fare di Freeheld un prodotto pressoché inattaccabile, poiché ha dalla sua parte una sceneggiatura solida, una messa in scena pulita e la grande interpretazione di due regine di Hollywood. Nonostante la quantità di precedenti e varianti sul tema, il film di Sollett non cede all’eccesso di dramma, alla facile esagerazione degli aspetti patetici, ma racconta una storia d’amore, che diventa una storia di sopravvivenza, che diventa lotta civile, il tutto articolato in un flusso continuo di immagini lineare e coerente. Cinematograficamente non si hanno grandi impennate stilistiche o particolare ricerca estetica, ma, con una storia del genere tra le mani, la cosa più logica e produttiva è senza dubbio quella di far parlare la Storia, in tutta la sua crudeltà.

La scelta dello sceneggiatore Ron Nyswaner  è stata particolarmente assennata, dato che da quella stessa mente è stato partorito lo script di un altro grande film sul binomio malattia/omosessualità, ovvero Philadelphia. Proprio come per la pellicola del 1993 con Tom Hanks, in Freeheld basta seguire la vicenda per rimanere dolorosamente colpiti dall’ottusità del genere umano. Burocrazia, bigottismo, fanatismo religioso o semplice paura, il tutto scagliato senza logica contro una coppia di donne che vuole soltanto vivere insieme senza vergogna, godendo dei diritti fondamentali che ogni coppia dovrebbe avere di fronte alla legge. A poca distanza dall’attesissima sentenza di legalizzazione per i matrimoni omosessuali in tutti gli Stati Uniti, si sente ancora il bisogno di ricordare cosa e chi c’è dietro le bandiere arcobaleno e finché ci sarà necessità di ricordare, film come questo sono soltanto benvenuti.  Il notevole lavoro attoriale della Page e, in particolare della Moore (per la quale inizia già a sentirsi odore di Oscar) mette il carico da novanta, contribuendo a fare del film un infallibile valle di lacrime. In poche parole, Freeheld trascura la forma per dare pieno spessore ai suoi contenuti. E come fare altrimenti, con una storia così?

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Giulia Betti (Voto 5):

Questo film, come spesso capita, lo abbiamo visto in due. La me con il taccuino intenta ad annotare dettagli e battute interessanti da riportare nella recensione e la me con il pacchettino di fazzoletti di carta quasi terminato nella mano, la spettatrice.

 

La parte severa ed esigente di me, se all’uscita del film le aveste chiesto come le fosse parso vi avrebbe risposto: fallimentare. La me emotiva, la me privata, probabilmente sarebbe stata troppo coinvolta in un pianto catartico per potervi rispondere.

È vero, ho pianto, abbiamo pianto molto. All’accensione delle luci ho visto tanti colleghi giornalisti di larga esperienza piangere come agnellini, nascondendo gli occhi rossi simulando un raffreddore o uno sbadiglio, eppure il film non può che essere definito disastroso.

Un così importante messaggio, una così preziosa materia, incandescente per la natura e unica per la veridicità della storia narrata, un così immenso potenziale, attribuito anche dal brillante cast….sprecato. Spolverare la soffitta con un foulard di Hermès apparirebbe un gesto meno dissennato.

Sono i piccoli dettagli a tradire l'inadeguatezza del regista Peter Sollett, e a questo punto anche del suo reparto trucco-parrucco, che sceglie di far indossare alla “imbruttita ed invecchiata” (per la finzione) Julianne Moore una pomposa chioma bionda sempre sorretta da una piega impeccabile che non può che portare la firma d’un parrucchiere d’esperienza. Sfido a trovare una poliziotta che in ogni momento della sua giornata, e per tutti i giorni della sua settimana sia in grado di mantenere impeccabile una piega di quel genere, tanto negli inseguimenti, nelle lotte corpo a corpo con il criminale del caso, nelle partite di pallavolo e nei post partite di pallavolo, quando, per lo meno dopo la doccia, la piega...dovrebbe essersene andata a farsi...spettinare.

 

Il film è insulso, in riferimento allo stile della narrazione, necessario, in merito alla sua funzione nell’opinione pubblica (trattando un argomento tanto attuale come i diritti degli omosessuali), deludente, attenendoci alle interpretazioni delle due prime attrici, la Moore e la Page, ovviamente mal dirette da chi avrebbe dovuto farlo meglio, che le ha rese “spompate”, “spremute”, “insipide” come sono i frutti fuori stagione coltivati in serra.

 

Freeheld è la trasposizione cinematografica del corto documentario vincitore dell’Oscar nel 2008, diretto da Cynthia Wade.

Mi sono preparata trascorrendo tanto tempo con la vera Stacie e anche, ovviamente, vedendo il documentario, che mi ha fatto piangere tantissimo - racconta Ellen Page in un intervista - spero che questo film possa aprire il dibattito in Italia sulle unioni civili e che prima o poi la gente capisca”.

Che in Italia la gente incominci a capire è prevedibile, il problema è che nel nostro paese ciò che risulta realmente difficile è “ammettere”.

Ammettere nel senso di far entrare il diverso, accoglierlo, riconoscerlo, accettarlo, tollerarlo, ma anche e soprattutto “ammettere” nel senso di confessare e riconoscere i propri errori.

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