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7/10

The Face of an Angel regia di Michael Winterbottom

Drammatico
recensione di Alessandro Giovannini

Un regista americano di nome Thomas (Daniel Brühl) va in Italia per documentarsi a proposito di un misterioso fatto di cronaca nera, con l'idea di cavarci fuori il soggetto di un film. La ricerca sulla verità dei fatti si trasformerà ben presto in una ricerca interiore sulla propria identità.

Il fatto di cronaca di cui si parla è quello dell'omicidio di Meredith Kercher, ma per qualche motivo, forse legale, i nomi di tutte le persone coinvolte sono stati cambiati e l'azione è passata da Perugia a Siena. Già da questo fatto si capisce che l'intento del film non è la possibile ricostruzione dei fatti di quella notte, piuttosto l'eco mediatico che il caso ha suscitato e dil modo cui la stampa ci si è fiondata. Ma ancor più di questo l'episodio è uno spunto dal quale Michael Winterbottom parte per interrogarsi sui meccanismi che porta alcuni esseri umani, in questo caso il suo protagonista, a provare una specie di passione morbosa verso questo genere di fatti. L'idea è che la ricerca della verità e l'interesse verso il caso, oltre a creare un argomento di "socializzazione", cioè un tema di dominio pubblico che può diventare la base per qualche chiacchierata (i colleghi giornalisti ne parlano in ogni momento, anche durante cene non di lavoro, dicendosi convinti di questa o quella verisone dei fatti ma senza prove concrete), tocca profondamente le persone perchè le porta ad interrogarsi su sè stesse. Come capita a Thomas, il quale poco alla volta deraglierà rispetto al suo proponimento iniziale, anche perchè non saprebbe come finire il film. Il suo interesse si sposta da un'iniziale volontà di offire una ricostruzione plausibile dei fatti a quella di offrirne un'interpretazione. Cosa che suscita l'orrore dei produttori i quali vogliono puntare sulla proposizione fedele e magari particolareggiata di dettagli scabrosi per attirare il maggior pubblico possibile.

E' sicuramente azzardato considerare questo film come l' di Winterbottom, ma non è difficile vedere nel personaggio di Thomas un alter ego del regista, interessato a trattare la materia in questione ma indeciso sulla strada da prendere, ed infine decisosi a fare un film su questa indecisione: The Face of an Angel è la messinscena di un'insicurezza autoriale, il tentativo di filmare l'infilmabile, ovvero un momento delicatissimo del processo creativo di un artista, impegnato nel cercare la chiave di lettura del tema che vuole affrontare. Metacinema che quindi può ben essere accostato a film quali il Fellini sovramenzionato, o INLAND EMPIRE di David Lynch. Purtroppo Winterbottom non è Fellini e non è Lynch, di conseguenza l'interessantissimo concept non riesce a tradursi in qualcosa di sensazionale dal punto di vista narrativo (un ingarbugliato miscuglio fra giallo, thriller Polanski-ano e film drammatico che non amalgamano mai completamente) nè da quello stilistico (la messinscena e la fotografia puntano ad un sobrio realismo, e le scene oniriche non hanno nulla della visionarietà allucinatoria di un già citato Lynch o di un Nicholas Winding Refn). Chi già mi conosce poi sa della mia insofferenza verso i finali aperti, ed un finale più aperto di questo era difficile pensarlo.

Anche con queste carenze il consiglio di visione permane, soprattuto a chi ama un cinema sperimentale e rischioso.

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