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6/10

Et In Terra Pax regia di Matteo Botrugno

Drammatico
recensione di Giulia Coccovilli

Marco esce dal carcere dopo cinque anni, pensa di poter dare inizio a una nuova vita ma non fa in tempo a entrare in casa che due vecchi “amici” criminali lo trascinano a spacciare cocaina per conto loro. Marco trascorre le sue giornate sulla panchina del parchetto adiacente al grande Serpentone di Corviale facendo scivolare nelle mani altrui dosi di cocaina e osservando chi gli sta intorno. In particolare, la sua storia andrà a incrociarsi con quella di Sonia, giovane studentessa volenterosa e con quella di tre ragazzotti nullafacenti, Faustino, Massimo e Federico. Tre storie legate dal contesto di una squallida e depravata periferia romana e da un ineluttabile drammatico destino.

Opera d’esordio dei due giovani under 30 Matteo Botrugno e Daniele Coluccini, già autori di diversi videoclip e cortometraggi (Crhysalis, EUROPA, Sisifo), Et in terra pax fa tesoro di una certa tradizione letteraria e cinematografica tentando di superarla; mi riferisco a La Haine di Mathieu Kassovitz ma soprattutto a Pasolini. L’associazione con Pasolini emerge chiara e indiscutibile e questo da una parte fa certamente onore alla pellicola e ai suoi autori, dall’altra ha il sapore di una riproposta che non soddisfa, che non aggiunge nulla di nuovo e che certo non può competere con la poesia cinematografica pasoliniana.

Ad ogni modo, il film risulta essere il frutto di scelte coraggiose sia a livello contenutistico che stilistico. Infatti, Et in terra pax racconta senza moralismi la violenza, la solitudine e l’illegalità che avvolge il Serpentone di Corviale quasi creando una bolla dalla quale è impossibile uscire. Ma nonostante siano assenti giudizi morali, un messaggio appare chiaro e fa eco a L’Assommoir di Zola: il contesto sociale nel quale un uomo vive ne determina la vita in maniera fatale. Così come nell’opera di Zola, Gervaise Macquart, figlia di alcolizzati, finiva per diventare alcolizzata a sua volta, così i personaggi di Et in terra pax rimangono imprigionati nella degradazione che li circonda.

Per quanto riguarda invece l’estetica del film si percepisce un’attenzione quasi maniacale ai luoghi e alla loro rappresentazione astratta, concettuale, sicuramente cerebrale. Un susseguirsi di inquadrature pulite e geometriche che non fanno altro che omaggiare il direttore della fotografia Davide Manca.

Dunque un occhio particolare ai luoghi del Serpentone, un palazzone lungo un chilometro che ha sede nel quartiere di Corviale (estrema periferia romana), che finisce per essere l’unico vero protagonista del film. Un immenso alveare, immobile esternamente, in violento fermento all’interno. Scalinate e piazzette desolate, una panchina persa nel nulla, anfratti bui nei quali non ci si vorrebbe mai trovare, appartamenti scarni, un bar gestito da un tizio losco (Sergio) e frequentato da gente altrettanto poco raccomandabile. Un luogo fuori dalla legalità dove tutti sono contro tutti e dove ci si fa giustizia da sé. Il Serpentone diventa così non un luogo particolare per storie locali, ma un luogo universale per storie altrettanto universali, che non parlano solo di Corviale ma di una qualsiasi altra periferia del mondo.

Dai più è stata criticata la lentezza che precede l’incidente scatenante del film, che sembra non cominciare mai. Tuttavia potrebbe essere considerata come una scelta consapevole, volta ad alimentare gradualmente la tragica esplosione finale, che avverrà proprio sulle note di Et in terra pax di Vivaldi.

In conclusione, un film ampiamente applaudito al Festival del Cinema di Venezia (2010) nell’ambito della sezione “Giornate degli autori”. Un film ignorato da Rai Cinema e bocciato dalla Commissione del Ministero. Un film da vedere, se non altro per assaporare i progressi che il cinema italiano indipendente fa, a fatica, dietro la luce dei riflettori delle grosse distribuzioni.

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alexmn 7/10

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