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10/10

I Racconti Della Luna Pallida d'Agosto regia di Kenji Mizoguchi

Drammatico
recensione di Alessandro Giovannini

Nel tardo XVI secolo, nella regione del lago Biwa (nord-est di Kyoto), infuria la guerra civile. Due coppie di contadini (Genjuru e sua moglie Miyagi; il di lui fratello Tobei con la consorte Ohama) vivono pacificamente in campagna. Genjuru, abile vasaio, riesce a vendere al mercato i suoi oggetti per molti soldi, e pensa di dedicarsi esclusivamente a tale attività con l'aiuto di Tobei, che accetta ma in realtà sogna di aggregarsi a qualche samurai e partire in cerca di fama e ricchezze. I sogni di entrambi sono spazzati via dall'arrivo delle truppe del comandante Shibata Katsuie (1522-1583), al soldo di Oda Nobunaga (iniziatore dell'unificazione del Giappone sotto gli Shogun fino al 1868); i soldati razziano e distruggono il paesino, ma fortunatamente i vasi cotti durante la notte sono integri.

I quattro li caricano su una barca e prendono il largo. A causa del pericolo rappresentato dai pirati, Miyagi si separa dal gruppo assieme al figlioletto, mentre gli altri proseguono alla ricerca di una città dove poter vendere gli oggetti scampati alla razzia. Da qui una serie di eventi sciagurati porta alla separazione dei vari personaggi, ognuno dei quali vive avventure più o meno tragiche. In un finale malinconico, finita la guerra civile la vita riprende come prima, con la consapevolezza dell'impossibilità di riottenere quella pacifica felicità che aveva contraddistinto la vita tranquilla dei personaggi prima di essere accecati dall'idea di profitti e ricchezze materiali.

Da due racconti di Akinaru Ueda (1734-1809; letterato e poeta), "L'albergo di Asaji" e "La lubricità del serpente", contenuti nella raccolta Ugetsu monogatari del 1776, ispirata a racconti tradizionali cinesi, rielaborati ed ambientati in Giappone. Film imperdibile. Per mezzo di una narrazione allegorica con intermezzi fantastici (elemento inedito nella filmografia del regista), il film esalta la semplicità di una vita famigliare, il cui raggiungimento è il massimo obiettivo che ci si possa augurare; non servono soldi o ricchezze in quantità quando si hanno gli affetti.

Si mostra anche come la volontà di profitto a tutti i costi non solo non sia necessaria, ma possa anche essere dannosa per sè e per gli altri. Mizoguchi tratta temi universali con il suo classico attaccamento ai personaggi, per cui prova tenerezza e compassione. La commistione tra ricostruzione storica e invenzione fiabesca è un'operazione quasi rivoluzionaria per l'epoca, e la narrazione spiccia senza tempi morti assicura un coinvolgimento non indifferente.

Tecnicamente ineccepibile (degna di nota la fotografia elegante e suggestiva), recitato benissimo, questo film è un indubbio capolavoro del cinema, consigliabile a chiunque e fondamentale per gli appassionati della settima arte. Leone d'argento a Venezia 1953.

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loson79 (ha votato 9 questo film) alle 12:59 del 15 novembre 2010 ha scritto:

Qualche parolina in più non avrebbe guastato...