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8/10

La notte dell'iguana regia di John Huston

Drammatico
recensione di Gloria Paparella

Il reverendo Shannon, dopo essere stato cacciato dalla sua parrocchia, trova lavoro come guida turistica in Messico per un gruppo di insegnanti; tra di esse, spunta la giovane Carlotta, attratta da Shannon ma sorvegliata dalla rigida Miss Fellowes. Per fuggire dalla pressione dell’insegnante, che minaccia di farlo licenziare, e dalle provocazioni della ragazza, il pastore trova rifugio presso l’albergo dell’amica Maxine, dove si recano anche un vecchio poeta e sua nipote Hannah. In seguito ad una notte di riflessioni ed aperte confessioni, Shannon riuscirà a trovare un equilibrio morale e un nuovo modo di approcciare la vita.

Basato sull’omonima opera del 1961 di Tennessee Williams, ispiratore di molti successi cinematografici tra gli anni Cinquanta e Sessanta, La notte dell’iguana propone sullo schermo le tematiche espresse dal grande autore teatrale: la resistenza alle tentazioni della vita (il sesso), l’esistenza di Dio, la fiducia in qualcuno o in qualcosa. Il tutto condito con momenti ironici che alleggeriscono la pressione che tali questioni impongono.

La crisi morale e filosofica del pastore Shannon (Richard Burton), mandato via dalla sua parrocchia nel Texas a causa di una condotta non esemplare (aveva avuto una relazione con una minorenne), è lo spunto iniziale di una riflessione sull’ esistenza per tutti i personaggi coinvolti nella storia.

Non comincia nei migliori dei modi l’ex prete: trovato lavoro come guida turistica, egli riceve l’incarico di accompagnare un gruppo di insegnanti in giro per il torrido Messico: subito viene attratto dalla biondissima adolescente Carlotta (Sue Lyon), che è sotto la protezione della severa Miss Fellowes (Grayson Hall), morbosamente attaccata alla giovane. Il desiderio di cedere alla tentazione è molto forte, ma l’uomo riesce in qualche modo ad allontanare la ragazza, tenace nel sedurlo, e in un atto di disperazione e frenesia, decide di far soggiornare le signore presso l’albergo gestito dalla sua vecchia amica Maxine (Ava Gardner): una donna che vive alla giornata e che, da quando è rimasta vedova, compensa la mancanza di un amore vero con la seduzione fisica verso i due ragazzi messicani che lavorano per lei. All’albergo giungono anche un poeta in fin di vita e sua nipote, l’artista Hannah (Deborah Kerr) dall’animo quieto e saggio: circondati delle iguane che dominano il verde messicano, i tre personaggi vivranno una notte turbolenta, fatta di aggressioni verbali, confessioni e riconciliazioni, metteranno a nudo la propria coscienza, per ricominciare il giorno seguente una nuova pagina della loro vita.

Girato nel 1963 nella cittadina di Puerto Vallarta, il film, intenso, carico di mistero e di simbolismo, è un invito alla ricerca di se stessi; il regista John Huston, il quale considerava Tennessee Williams uno dei pochi geni intellettuali della sua epoca, riesce a far suo il testo teatrale con una forte caratterizzazione dei personaggi ed esaltando le capacità dei rispettivi attori. Richard Burton dà il meglio di sé soprattutto nella prima parte, quando è in preda agli impulsi sessuali nei confronti della bella Carlotta. Egli è, come l’iguana che cattura, una “creatura di Dio giunta alla fine della propria corda”: un uomo sfinito, circondato da così tante donne da impazzire e non trovare più il proprio rigore morale. Infatti, oltre ad essere sedotto fisicamente dalla ragazza, egli si sente attratto sia dalla mentalità libertina dell’amica Maxine, sia dalla serenità imperturbabile di Hannah. La parte sembra essere congeniale all’attore, conosciuto per il suo fascino da rubacuori (a Puerto Vallarta era presente anche la sua futura-seconda moglie Elizabeth Taylor a tenerlo d’occhio dalle possibili avance di “Lolita” Sue Lyon) e non fa alcuna fatica ad interpretare la crisi interiore del pastore Shannon (Burton aveva lasciato moglie e due figlie per stare con la Taylor). Ad eguagliare, se non addirittura superare, la prova di Burton, ci pensano le due co-protagoniste: da un lato Ava Gardner, attrice sottovalutata forse per la “troppa” bellezza, ma che riesce a plasmare con la sua passione e il suo carisma ogni personaggio che interpreta; oltre alla scena indimenticabile del bagno notturno con i “cabana boys”, di lei si può apprezzare non solo la sensualità matura, ma anche l’interpretazione straordinaria di una donna che, perduto il suo amore, vive un momento di disorientamento sentimentale ed è alla ricerca di qualcuno a cui aggrapparsi (Shannon). Dall’altro lato, un’ammirevole Deborah Kerr, sincera nelle sue sentenze, ma sempre saggia e risoluta, ed è grazie alla luminosità del suo personaggio, capace di capire le persone, che il protagonista riesce a ritrovare la serenità perduta. Sue Lyon, che dopo Lolita appare qui ancora più bella, è adatta nella parte della giovane ragazza istintivamente attratta dagli uomini (si dice che sul set civettasse con molti giovani della zona creando non poche difficoltà a John Huston). Grayson Hall è così convincente nella parte di Miss Fellowes, dalla sessualità repressa e inconsciamente omosessuale, che ottenne una nomination agli Oscar come migliore attrice non protagonista.

Nonostante il difficile compito di trasmettere sullo schermo la solitudine che avvolge i protagonisti, Huston riesce, grazie anche a tocchi di inedita ironia, a porre in secondo piano l’azione e a comunicare l’intensità psicologica dei personaggi. Bellissimo il bianco e nero, Oscar ai costumi, inaspettato ma gradevole il finale ottimistico:“non potrai trovare altro luogo in cui dimorare, non un albero dorato… ma nel mio povero cuore spaventato”. Così recita il nonno di Hannah, poeta morente. E sebbene lei accetti di stare da sola, Shannon e Maxine decidono di percorrere insieme la strada dell’amore.

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