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6/10

Monolith regia di Ivan Silvestrini

Drammatico
recensione di Alessandro Giovannini

Sandra, ex popstar con figlio a carico e marito di cui sospetta l'infedeltà, rimane bloccata fuori dalla sua auto in mezzo al deserto. La vettura non è un'auto qualsiasi bensì una Monolith, l'ultimo ritrovato tecnologico in fatto di veicolo su quattro ruote ipersicuro, una fortezza inespugnabile dall'esterno. Peccato che la giovane madre abbia lasciato il figlio infante all'interno dell'abitacolo, senza acqua e/o climatizzazione. riuscirà a salvarlo riappropriandosi del veicolo?

Sulla scia di Mine, Monolith si presenta come un film high concept dalla struttura spiraliforme: un problema centrale (entrare nella macchina) cui la protagonista cerca rimedio lungo il corso della narrazione, fino all'esito finale. Una ricerca della soluzione che è anche una ricerca interiore del proprio ruolo nel mondo: Sandra è divisa tra il suo passato di popstar di cui vorrebbe riappropriarsi, ed il suo presente di madre disattenta e moglie trascurata del quale è insoddisfatta. Così il film vorrebbe, dietro la sua confezione da thriller situazionale, sostenersi con una riflessione sul ruolo attuale di genitorialità, di maternità, di femminilità: cosa vuole dire essere donna nel mondo occidentale del 2017? da cosa passa l'autorealizzazione femminile: carriera e successo o affetti e famiglia? Se il concept del film ed il suo finale, che sembrano imporre un aut aut tra queste due opzioni, si dimostra eccessivamente manicheo, non è comunque nell'eccessiva polarizzazione del tema il difetto principale di Monolith. trattandosi di un film di genere, la sua trattazione tematica grezza è comprensibile e forse giustificabile, lo sono meno alcune carenze di scrittura che si possono passare sommariamente in rassegna.

Avendo quasi sempre un solo personaggio in scena, il team di scrittori (ben 4) non è riuscito ad elaborare espedienti altri che monologhi a voce alta della protagonista per giusitifcare le sue azioni e/o esporre i propri dilemmi interiori. Il film insomma cade in pieno in uno degli errori fondamentali del processo di scrittura filmica: mostrare l'evoluzione di un personaggio per mezzo di azioni e non di parole. Se persino WALL-E, film di animazione per bambini, vince la scommessa di non far pronunciare una parola di dialogo per la prima metà del film, il ricorrervi così platealmente in un film di genere dal target di pubblico di età sicuramente più elevata appare sintomo di incapacità di costruzione di una solida sceneggiatura. il punto è che, messa la protagonista in pieno deserto e priva di interazioni umane, sono poche le azioni che gli autori sono stati in grado di escogitare: gli 80 minuti del film appaiono di conseguenza paradossalmente troppi, nel momento in cui ci si rende conto che l'azione consiste nei suddetti sproloqui, in qualche azione ripetuta in momenti diversi (colpire la macchina con oggetti; lottare contro un lupo famelico) e in una lunga parte centrale che purtroppo non apporta alcun contributo significativo allo sviluppo narrativo nè a quello psicologico del personaggio, se non farlo cadere sempre più nello sconforto. il riferimento è alla sequenza di vagabondaggio nel deserto con il ritrovamento della pista d'atterraggio: una sorta di piccola odissea della protagonista che però, una volta tornata al punto di partenza, non risulterà in alcun cambiamento sostanziale nè dal punto di vista narrativo nè da quello morale/introspettivo; c'è una parola per definire tutto ciò ed è "riempitivo". Qualche perplessità la suscita anche il finale, con espedienti ai limiti della credibilità e facili concessioni all'emozione.

Se le critiche fatte fin qui appaiono dure, sono giustificate dalla delusione di vedere disattese le invitanti premesse che il film riesce a costruire nel suo primo atto, quando Ivan Silvestrini illustra con scene brevi, efficaci e tutte necessarie la rete dei personaggi principali, la loro backstory, ed ovviamente l'oggetto scenografico attorno cui ruota la vicenda ovvero il veicolo Monolith, sorta di avversario inanimato della protagonista; proprio attraverso lo "scontro" tra la macchina e la donna, Monolith riesce anche ad imbastire qualche interessante riflessione sul rapporto problematico con la tecnologia, sottotesto di tutto il film che, a mio parere, lo avrebbe reso ancor più interessante se ulteriormente approfondito.

Da premiare i valori produttivi, in primo luogo l'italianità dell'operazione (progetto di Sky Cinema distribuito da Vision, nuovo polo nostrano capitanato da Sky con quote di Wildside, Cattleya, Italian International Lucisano Group, Indiana e Palomar) che osa uscire dai confini nazionali per tentare strade internazionali e commerciali in barba ai convoluti intellettualismi di tanta, insopportabile pseudo-autorialità cui sfugge completamente l'aspetto industriale della macchina-cinema; il cast interamente americano e la performance di Katrina Bowden sono senza sbavature, pur non offrendo momenti particolarmente brillanti. La regia di Silvestrini è competente ma non troppo a suo agio nelle poche scene concitate, come l'attacco del cane che mostra il fianco nel montaggio un po' goffo che fa quel che può per nascondere l'inesperienza in merito. La colonna sonora di Diego Buongiorno segue le orme di Cliff Martinez, ormai assurto a modello di riferimento per molto cinema giovane, con tappeti sonori elettronici che rischiano a volte (complice una fotografia grandiosa da National Geographic) di esaltare il paesaggio desertico invece che renderlo minaccioso.

Nel complesso un film che vive di alti e bassi ma che è senz'altro in grado di assolvere alla sua funzione di intrattenimento leggero imbastendo una premessa narrativa tanto originale quanto funzionale alla trasmissione della sua tematica.

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