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7/10

Animal Kingdom regia di David Michod

Drammatico
recensione di Fabrizia Malgieri

Dopo la morte della madre per overdose, Joshua è costretto a trasferirsi a casa di sua nonna e dei suoi zii. È il violento ingresso dell’adolescente nella vita adulta, che per lui sarà anche il primo contatto con la vita violenta vissuta dai suoi zii, pericolosi gangster, che si rispettano solo con la forza, come nel regno animale.

Il mondo umano raccontato come quello animale: questa è l’interessante metafora attorno a cui ruota il sofisticato Animal Kingdom di David Michôd. Costruito come un documentario à la Discovery Channel – tra battute graffianti simili a ruggiti, corse in prati sconfinati simili alle vaste savane africane, e un ritmo lento quasi contemplativo – la pellicola esplicita sin dai primi fotogrammi una continuità tra i due “regni”. Significativi (anche se alla lunga ripetitivi) i “suggerimenti” metaforici che Michôd dipana nel film, tra questi la tavola in bronzo raffigurante tre leoni (il dominante, lo sconfitto e il sottomesso) in apertura alla pellicola, incredibilmente speculare all’immagine di chiusura.

E pensiamo, inoltre, alla forte caratterizzazione dei personaggi, anche questi costruiti su una continua somiglianza con il mondo animale: i poliziotti “cercatori di taglie” ricordano i bracconieri, che sterminano uno dopo l’altro gli “anelli deboli” del “branco”;  la mater familiae Janine (la candidata agli Oscar nel 2011 come miglior attrice non protagonista Jacki Weaver, proprio per Animal Kingdom) costruita a immagine e somiglianza di una leonessa, che fa di tutto per tenere uniti i suoi “piccoli” (i tre figli e il nipote); così come il “domatore/osservatore naturale”  – il detective interpretato da un memorabile Guy Pearce – che tenta di ricondurre sulla retta via il “leoncino” protagonista Joshua (James Frecheville). Ma quest’ultimo non potrà fare a meno di cedere al suo istinto (animale), intraprendere il suo percorso di (ri)salita dinastica e spodestare il “leone” prepotente – ironicamente chiamato “Pope” (Ben Mendelsohn) – per ristabilire l’equilibrio all’interno branco.

Opera prima del regista australiano David Michôd – che riscopriamo nel 2011 come co-sceneggiatore di Hesher è stato qui di Spencer SusserAnimal Kingdom risulta impeccabile e incisivo a livello registico, ma non sorprende eccessivamente a livello di scrittura, spesso troppo semplicistica e anche ridondante. Per quanto interessante la scelta di raccontare una storia familiare sulla scorta di quella di un branco, Michôd cede spesso alla tentazione di insistere sulla dicotomia istinto-ragione, rendendo la pellicola un continuo gioco al confronto con, dai contorni opachi. Insomma, non tutti possono essere i Cronenberg di History of violence (con cui Animal Kingdom condivide ben più di un punto di contatto), ma il giovane regista australiano ha tutte le carte in tavola per continuare a farsi strada nella settima arte. A dimostrarlo il Premio della Critica che ha ottenuto al Sundance Film Festival nel 2010 proprio per la sua opera prima.

V Voti

Voto degli utenti: 7,7/10 in media su 3 voti.
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alexmn 8/10

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