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8/10

Le Buttane regia di Aurelio Grimaldi

Drammatico
recensione di Enzo Barbato

Questo è un film sulle donne. L'ennesima prova di coraggio di Aurelio Grimaldi che racconta le vite maledette di queste "madri" costrette a prostituirsi per andare avanti. Non ricaveranno nulla da questa condotta, anzi verranno presto dimenticate...

Ogni giorno a precorrere quella stessa strada. Ogni santo giorno a calpestare quelle stesse pietre, a cercare le stesse orme, a riconoscerle tra tante, senza correre il rischio di dimenticarle e arrovellarsi per ritrovarle. Ma chi se le scorda quelle tracce. Specialmente per chi le percorre sullo stesso viale o sullo stesso pavimento. Si vedono ad occhio nudo.

Chi sono Orlanda, Minuccia, Blu Blu, Veronica, Liuccia "Bonuccia"? Sono nomi d'arte. Sprigionati da una fantasia squallida o suggeriti da un cliente in vena di velleità poetiche, in cerca di sperduti apostrofi rosa da piazzare a qualche parte. E chi è Kim, il transessuale? O Maurizio l'insospettabile professore gay? Poveri amanti. Anime perse costrette ad errare in un mondo oscuro fatto di annunci su giornale e occhi arbitrariamente indiscreti.

Anime costrette a contare tutte le volte in cui il loro campo sterminato è stato arato da anonimi contadini. Neanche una canzone d'amore riesce a smorzare la rigidità di uno stato d'animo troppe volte ferito. Il tempo di un ritocco, un filo di trucco o un po' di rossetto di scarso valore. Tanto non possono baciarmi perché non lo permetto e quindi almeno lui mi rimane fedele tutto il giorno. Quella pelle bianca velata da calze infilate al solo scopo di invogliare la versatile bestia. Quel poliedrico animale che muta sembianze in pochi minuti. Una volta è pulito, curato un'altra volta magari no. Può assumere sembianze che paradossalmente mi fanno innamorare. In maniera effimera almeno. Ma il più delle volte non è così. Quante volte inghiottisco aria pesante. Quegli ammassi molli che si appiccicano alle mie cosce color madreperla, come avrebbe detto qualcuno. Il tempo di distendere quei muscoli ripetutamente, intensamente strofinati e lui ha già cambiato forma. Ancora un altra. Ancora un altro.

E quei "siiii" biascicati a forza, come una ridondante, stanca, sospirata intermittenza al silenzio. Quanto mi duole ripetere quella sillaba fallace. Solo così questi stupidi rimangono contenti. Lo sanno anche loro che fingo ma a me non importa. Sono costretta a trascinare quella sensazione morta, a dissimulare lo schifo, altrimenti rischio che non vengono più. Nell'uno e nell'altro senso. E a me i soldi servono per campare.

Orlanda è quella più ostica, forse un pizzico razzista ma, forse la più desiderata. Ha anche un protettore che la importuna in continuazione. Con Orlanda devi mostrare subito i bigliettoni e devi essere soprattutto pulito. In caso contrario è previsto un opprimente lavoro manuale. Sarà proprio un inferiore a salvarla dalle spire del magnaccio. Kim non possiede tutte le entrate ma può offrirti molto di più rispetto a ciò che può farti una donna. Lui sa i punti che deve colpire con la lingua. E Maurizio si accontenta di accarezzare una pelle simile alla sua, uno stesso odore, uno stesso sospiro, uno stesso ciuffo di peli o capelli arruffati. Liuccia è spregiudicata, spontanea. Rischia. Quanti rischi corrono queste madri sventurate. Quanti rosari sgranano con la speranza che il prossimo viandante non sia un assassino. Quante lacrime piangeranno pensando a quel figlio all'orfanotrofio o toccandosi gli incisivi che hanno dovuto assaggiare cuoio grasso impolverato, stese sul freddo selciato di una terra bruciata dai copertoni.

Perché lo fanno le buttane, o volgarmente pulle, come se il termine puttana non bastasse a schiacciarle sul fondo dell'umanità. Quelle di Grimaldi hanno un'anima, in molti casi un grande cuore ed in altri sono stanche senza poter andare altrove. Le sue, di puttane, non percorrono scorciatoie. Non otterranno meriti o encomi. Andranno avanti, continuando ad essere solcate da quegli anonimi aratri fino a sanguinare. Fino a quando il sangue si trasformerà in lacrime. Neanche a Natale si potrà sorridere, se non ubriache e di fronte ad un povero panettone sbocconcellato tra un putrido canto d'amore urlato di fronte ad un dildo di gomma.

L'opera di Grimaldi, riveduta e corretta in base ad un libro da lui scritto, come sempre è provocatoria e non a caso a Cannes sono stati in molti a storcere il naso. Il coraggio è tanto e la regia esiste ma per l'ennesima volta finisce sul patibolo conficcato dagli strali della critica, alla San Sebastiano maniera. Maurizio Calvesi ci regala l'ennesima splendida fotografia in bianco e nero. Un bianco e nero che oserei definire amniotico, come se volesse partorire un mostro che squarci ogni sequenza. Poca musica, qualche rumore. Inutile declamare la bravura già riconosciuta di Ida Di Benedetto, l'ostica, Guia Jelo, la spontanea e Lucia Sardo, la sanguigna. Bravissima Paola Pace.

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