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6/10

Afterschool regia di Antonio Campos

Drammatico
recensione di Federico Sargatti

Robert è un ragazzo arrivato da poco in una prestigiosa scuola privata. Come tutti ha i suoi problemi e le sue difficoltà e curiosità, ma la sua psiche sarà sconvolta dalla morte di due gemelle che si troverà a soccorrere inutilmente per primo. Nonostante ciò accetta l'incarico di girare un video per ricodarle, mentre nel frattempo i piccoli grandi eventi dell'adolescenza si affiancano nella vita quotidiana.

Ci si aspettava qualcosa di diverso, lo confesso. Invece si rimane un po' spiazzati dalla struttura totalmente indie e sperimentale assunta dall'opera prima del regista brasiliano Antonio Campos. E pensare che di carne al fuoco per stuzzicare l'appetito di grandi e meno grandi (ma non piccini!) ce n'era: la New York scolastica “da bene”, un adolescente ossessionato dalla pornografia (come ogni adolescente peraltro) e dai video più deviati e violenti di youtube, un giro di droga di lusso che causa la morte di due gemelle bellissime, l'ipocrisia di una classe dirigente meschina e in generale un tuffo nella crescita psico-fisica di un adolescente.

Tanto materiale messo assieme dallo stesso Campos, che oltre ad essere il regista ha curato produzione, sceneggiatura e purtroppo montaggio. Dico purtroppo perchè qui arriviamo al vero tallone d'achille dell'opera. Se infatti l'autore si districa agevolmente nella matassa narrativa, riuscendo a rappresentare notevolmente un mondo estremamente complesso senza risultare banale o stereotipato (con un tocco drammatico e realistico che ricorda l'ultimo Gus Van Sant) è a livello stilistico che emergono i maggiori problemi: di fatto Campos ripropone gli stilemi più estremi della Nouvelle Vague (Godard ma non solo), coniugandoli con le ricerche estetiche di autori post-moderni come Michael Haneke e Lars Von Trier.

Il risultato però non è stupefacente come potrebbe far pensare la citazione di così grandi nomi. L'opera risulta piena zeppa di inquadrature statiche e fissate in modo da inquadrare solo marginalmente l'azione scenica, tagliando spesso i personaggi a metà e talvolta non mostrandoli affatto. Ci si lascia andare a fotografie appositamente sgranate, soggettive brusche, zoom affrettati e a piani sequenza solo di rado centrati.

Insomma una regia sperimentale che risulta difficilmente digeribile per lo spettatore, che riesce comunque a sopportare i lunghi silenzi e le scene più scarne per la capacità dell'autore di costruirvi attorno delle atmosfere cariche di tensioni e nevrosi.

Da segnalare il parallelismo tra il regista e il giovane protagonista Robert (un bravissimo Ezra Miller): un rapporto sottolineato dallo stesso autore in un'intervista (a marcare quindi l'accesa autobiograficità dell'opera) che si evidenzia pienamente nel “film all'interno del film”, quello girato da Robert per omaggiare le due sorelle scomparse. Inutile dire che lo stile di entrambi è identico, e nonostante il filmato edulcorato e sdolcinato con cui viene sostituito faccia sinceramente pena non si è potuto nascondere un piccolo riso di soddisfazione all'esclamazione del professore che il filmino facesse schifo.

V Voti

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