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7/10

Corpo Celeste regia di Alice Rohrwacher

Drammatico
recensione di Fabrizia Malgieri

Marta ha tredici anni e, dopo dieci anni passati con la famiglia in Svizzera, è tornata con la mamma e la sorella maggiore a vivere nel profondo sud italiano, a Reggio Calabria, la città dov'è nata. Marta inizia subito a frequentare il corso di preparazione alla cresima, dove incontra don Mario, prete indaffarato e distante che amministra la chiesa come una piccola azienda, e la catechista Santa, una signora un po' buffa che guiderà i ragazzi verso la confermazione.

Chi scrive non ha ricordo della sua Cresima, ma solo perché non ha ricevuto il sacramento. Per scelta. Chi scrive, tuttavia, ricorda il percorso di preparazione alla Prima Comunione – ha frequentato una scuola cattolica alle elementari – e ricorda molto bene l’indottrinamento della catechista, imparato a memoria attraverso canzoncine e movimenti di mani al cielo, svuotato del suo senso e del suo significato più profondo.

Proprio come in questo semplice e algido Corpo celeste. La pellicola di Alice Rohrwacher scoperchia un vaso di Pandora  custodito con cura da tempo, torna a domandarsi sul valore della spiritualità e della sua importanza nelle comunità, piccole o grandi che siano. È un collante sociale, è un “modo per farsi degli amichetti”, è un “eh, Senza la cresima non ti puoi neanche sposare!” (per citare alcune battute del film), oppure è una virtù, un importante percorso interiore?

Attraverso una fotografia fredda e virata al grigio, la Rohrwacher mette in scena il dubbio che attanaglia da millenni l’essere umano di fronte alla fede, grazie al personaggio silenzioso della piccola Marta – vera e propria figura Christi, ribelle e un po’ “matta”, come le suggerisce il prete del piccolo paesino isolato sulle montagne calabre. E non lo fa con spirito snobbista o anti-clericale: anzi, la tesi condotta dalla Rohrwacher esplora con umiltà e con delicatezza un campo minato, quello della religione in un Paese, il nostro, profondamente cattolico. E per quanto l’esibita e contraddittoria spiritualità (per non dire naive) dei vari parrocchiani risulti uno dei maggiori fili conduttori del racconto, gli intenti sottesi di Corpo celeste sono di tutt’altro spessore: la giovane regista vuole raccontare un cambiamento, una metamorfosi, quella di una bambina quasi donna, strappata alla sua realtà e costretta a fare i conti con una comunità soffocante. È lei il vero corpo celeste, che non riesce ad integrarsi all’interno di schemi pre-esistenti e insegnamenti vuoti.

Seppur caratterizzata da un’eccessiva lentezza, l’opera prima di Alice Rohrwacher svela le grandi capacità e le potenzialità di questa giovane cineasta toscana, che si è rimboccata le maniche e ha deciso con coraggio di affrontare, senza intorbidirlo o svuotarlo nei contenuti, un argomento altamente spinoso. 

Da recuperare e maneggiare con cura, è un Nastro d’Argento 2011 per la Miglior Regista Esordiente.

V Voti

Voto degli utenti: 8/10 in media su 1 voto.
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alexmn 8/10

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