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8/10

Félicité regia di Alain Gomis

Drama
recensione di Leda Mariani

Félicité è una donna fiera ed autonoma che si guadagna da vivere cantando in un bar di Kinshasa, capitale della Repubblica Democratica del Congo, nel Centro-Sud Africa. Le vicissitudini della vita mettono a dura prova la sua indipendenza. Quando il figlio Samo finisce in ospedale, a causa di un incidente in motocicletta, Félicité inizia una disperata ricerca d’aiuto, che si trasforma nel calvario di un viaggio alla deriva nel suo passato e nei suoi sogni. Il film, realistico, ma anche fantasmagorico, soprattutto nella sua rappresentazione della dimensione del sogno, è una profonda e delicata storia d’amore: il racconto musicale di un complesso ritorno alla vita.

Il film, del regista franco senegalese di cui il FCAAAL segue la carriera dal 2000, con il suo primo cortometraggio Tourbillons, ha vinto l’Orso d’Argento del Gran Premio della Giuria alla Berlinale 2017, ed è in concorso fino al 26 marzo nella sezione Lungometraggi “Finestre sul mondo” del 27° Festival del Cinema  Africano, d’Asia e America Latina.

La pellicola è molto elegante, permeata di silenzi che assumono un’inedita potenza espressiva, ma allo stesso tempo estremamente musicale, non solo nel suo essere racconto della vita di musicisti, ma anche e soprattutto nello svolgersi della sua ritmica interna e proprio nelle sue pause, anch’esse profondamente musicali, come quelle delle partiture d’opera cantate dagli alunni di una scuola che non immagineremmo mai nel luogo che viene raccontato, e che fa da sipario per i vari atti del film.

Le riprese sono semplici, molte delle quali eseguite a spalla: come dei quadri oscillanti che mostrano spaccati dell’Africa del presente. Affreschi “sgarrupati” che incorniciano le vicende dei protagonisti, che recitano in una maniera semplicemente meravigliosa. Sguardi intesi e veri, che si rovesciano al di fuori di forti primi piani e dettagli, trascinandoci nel dramma quotidiano della sopravvivenza quotidiana.

Il dualismo dell’essere umano emerge molto bene in Félicité, come nell’allegoria dell’alternanza tra la musica classica barocca e quella pulsante, tribale, intima, che pervade l’Africa e che è espressione della sua anima. Ragione e sentimento dunque, che insieme danno vita al profondo oscillare dell’esistenza.

Una sceneggiatura fatta di poche e significative parole racconta tutto, con poco, tra estrema miseria, brutalità e l’elevazione massima che la musica garantisce all’umanità. Il realismo magico in questo caso si perde nell’estasi dei piccoli dettagli di ogni cosa e di ogni giorno, riempiendoli, appunto, di fantasmagoria.

Un piccolo grande film, che sembrerà forse solo un po’ troppo lungo per chi non ha confidenza con i ritmi del cinema asiatico in generale, che ama posare lo sguardo per molto tempo sulle cose, ma nell’insieme perfettamente riuscito, in una maniera che ricorda tantissimo il nostro Neorealismo: nelle tematiche, nei modi, nelle inquadrature e nella forma complessiva.

A Milano sarà possibile vedere il film il 23 marzo alle ore 21:00 presso l’Auditorium San Fedele e sempre nello stesso luogo alle 21:45 di domenica 26 marzo.

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