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6/10

Il matrimonio che vorrei regia di DAVID FRANKEL

Commedia romantica
recensione di Guido Giovannetti

Kay (Meryl Streep) e Arnold (Tommy Lee Jones) sono la classica coppia annoiata da tanti anni di matrimonio. Stanca della routine e con tanta voglia di riaccendere la passione, Kay sconvolge suo marito con una proposta folle: una settimana di terapia matrimoniale nella cittadina di Great Hope Springs. Nessuno dei due, però, sa cosa li aspetta...

Una trama di una banalità allucinante, Il Matrimonio Che Vorrei si presenta come l’ennesima commedia sentimental-romantica, con il solo vantaggio di avere due protagonisti di tutto rispetto a livello attoriale. Però c’è un terzo nome, che forse a molti sarà sfuggito (compreso al sottoscritto), ma che inizia ad avere un suo peso e che ce lo mostra nella suddetta pellicola: no, non mi sto riferendo a Steve Carell, ma al regista David Frankel. E chi è? Il nome non è certo noto, ma non appena vi dirò che il tizio in questione ha diretto sia Il Diavolo Veste Prada che Io & Marley le cose inizieranno a farsi più chiare.

In altre parole, ciò che emerge dal nuovo lavoro di Frankel è quella che ormai identifico come la sua cifra stilistica: la serietà.  Ultimamente si assiste ad un sacco di “Commedie” (particolarmente quelle romantiche) dove, partendo da stanchi e vecchi copioni, già sentiti e e visti mille volte, gli argomenti trattati sono buttati via, dati in pasto alla battuta facile o al doppiosenso sessuale, messi in bocca a personaggi ormai ridicoli nel loro “macchiettismo” (vedi le nonne-sprint, o le ciccione tutto pepe): i momenti drammatici, poi, sono fintissimi, funzionali solo a creare poi il lieto fine più prevedibile e moscio. Frankel, invece (soprattutto in Devil Wears Prada), ha un altro tocco, crea atmosfere meno scontate, più “serie”, perlappunto: perchè non è che il realismo sia presente, intendiamoci, anche qui il lieto fine è d’obbligo, ma la storia appare sempre più credibile, più valida, creando un’empatia maggiore e più genuina con il pubblico in sala.

Ma come si fa ad essere seri in una commedia dove il sesso è in primo piano? Dove Meryl Streep fa un pompino a Tommy Lee Jones, in un cinema durante una proiezione? È proprio questo il bello: la componente sessuale la fa da protagonista, ma ci vengono mostrati i goffi tentativi di ristabilire una connessione intima di una coppia ormai appartenete alla terza età, consunta dalla routine e dall’ordinarietà del matrimonio. Non c’è un’intenzione clownesca in questo ritratto, ma una genuina, “seria”, volontà di far vedere come le difficoltà non si superino alla prima botta, e come anche fallire il suddetto pompino perchè non si è capaci di farlo possa essere motivo “serio” di crisi, rendendo sempre più difficile raggiungere l’obiettivo, cioè ritrovare la passione e l’intesa di coppia.

E questa “serietà”, del regista e della pellicola stessa, è “allegoricamente” rappresentata dal terzo attore del trio protagonista, Steve Carell. Attore sottovalutatissimo, considerato un comico buffonesco, è (proprio come Jim Carrey, anche se un po’ meno bravo) invece versatile, calibrato, adatto anche ad un ruolo più “serio”, meno sboccato (cosa che aveva già dimostrato nel delicatissimo L’Amore Secondo Dan). E ovviamente, per giungere ai due protagonisti veri e propri, è notevole il lavoro della Streep (che strano, eh?) e di Lee Jones, abili nel rappresentare una coppia credibile, per niente piaciona o costruita, ma bloccata da un’abitudine deleteria, quella della quotidianità e della convivenza di tutti i giorni. Gli attori, insomma, supportano benissimo le intenzione narrative del regista Frankel.

Il Matrimonio Che Vorrei non è un gran film: siamo lontani anni luce dal succitato Il Diavolo Veste Prada, dove oltre alla “serietà” c’era una storia ben diversa, più appassionante, e dei personaggi davvero ben strutturati e ormai storici (Miranda Priestly). È però una commedia che fa vedere come si possa tirare fuori qualcosa di gradevole e “serio” (l’ho detto troppe volte, dite?) anche a partire da un canovaccio trito e ritrito, con personaggi poco originali. E allora si giustificano meglio anche alcune piccole scivolate nel finale, tirato troppo per le lunghe e con una sequenza superflua sui titoli di coda, perchè per una volta non si sono viste grasse signore tutto pepe, nonne sboccate in preda all’alzheimer, personaggi che si lasciano precisamente a 3/4 del film per poi ritrovarsi in un finale tutto glucosio e miele, ma qualcosa di più solido fin dalla prima scena.

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