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7/10

Sieranevada regia di Cristi Puiu

Commedia corale
recensione di Leda Mariani

Accolto trionfalmente in concorso al 69° Festival di Cannes, il film è un affresco ironico e trascinante che apre allo spettatore le porte dell'appartamento di Bucarest dove, tre giorni dopo l'attentato contro Charlie Hebdo e quaranta dopo la morte del padre, Lary trascorre la domenica con tutta la famiglia, riunita per commemorare il defunto. Non tutto, però, va come previsto: tra segreti e bugie, costumi di carnevale sbagliati e nostalgie del regime, sbornie da smaltire e complotti da sventare, Lary si vedrà costretto ad affrontare le proprie paure, a riconsiderare il proprio posto all'interno della famiglia. E a dire la sua parte di verità.

Questo film prende un voto molto, molto più basso di quel che si meriterebbe, solo ed esclusivamente per la sua devastante durata (ben 173 minuti), che trasforma qualcosa di perfettamente sceneggiato, in un “tour de force” all’ultimo sangue. Ogni storia prevede giustamente il suo tempo narrativo, che risponde ai contenuti, alla sua matrice culturale e quant’altro, ma questo è un film tendenzialmente molto ben ritmato, con una sceneggiatura brillante fatta di “botta e risposta” che non giustificano la reiterazione dello status dei personaggi così a lungo. Tutto era già chiarissimo e funzionava assolutamente bene almeno 45 minuti prima del finale, che appunto, sarebbe potuto giungere, così com’era, molto prima. È lampante che la lunghezza sia voluta e che serva proprio a “far soffrire” lo spettatore, dato il ritmo di tutto nell’insieme, ma pensando ad un pubblico che capirebbe ad apprezzerebbe il film, penso che questa sia una dura prova anche per esso, oltre che assolutamente proibitivo per lo spettatore medio, che credo che ad un certo punto lascerà la sala, così come hanno fatto anche molti “critici” alle proiezioni.

Nato da una riflessione sull’assurdità delle vicende del quotidiano, e partito dall’esperienza della commemorazione della morte del padre di Puiu, nel 2007, l’ultimo sforzo di questo singolare pittore-regista è un’opera di iperrealismo micidiale, dall’inizio alla fine, che ha volutamente mantenuto un ritmo molto verosimile dello svolgimento dei fatti - più che altro dei flussi mentali e di discorso -, facendo sperimentare al pubblico l’estenuante fatica del protagonista durante la giornata trascorsa con la sua eccessiva, schizoide, ed assolutamente balcanica famiglia, che rimanda appunto un senso di realtà che mi ha fatto sentire come a casa (sarà la spaventosa prossimità di questi personaggi ai membri della mia famiglia, con simili matrici culturali). Si comincia da subito con dei quadri d’insieme fissi, alla Hopper, che restituiscono uno spaccato sulla Romania contemporanea, in costruzione, ricostruzione e perenne stato confusionale da shock culturale. Lavori ovunque, come in molti altri film contemporanei ambientati negli stessi luoghi: tutto un formicolante fare, muoversi, agitarsi, in un territorio che si sta economicamente, e quindi socialmente, mondializzando come tutto il resto, puntando in maniera drastica sull’omologazione: delle cose (vedi il Carrefour che tutti nominano, almeno una volta) e delle idee. Tra una questione e l’altra di famiglia, in questa casa claustrofobica che si fa teatro di drammi umani, paure, incertezze, rinascite e morte delle idee, si parla di tutto: dai pannolini, all’11 settembre, da Charlie Hebdo, ai tradimenti, dalla sessualità, alla medicina… davvero di ogni cosa immaginabile, in tre ore di passaggi di Lary da una stanza all’altra dell’appartamento-labirinto in cui si svolge questo particolarissimo dramma “da camera”.

La riflessione di base è quella sulla Storia: sulla memoria e sui ricordi. Lo stesso Puiu ha dichiarato che: <<nel momento in cui prendiamo coscienza di noi stessi, verso l'età di dieci anni, siamo già istruiti e formattati dalla storia del nostro paese. Vediamo le cose in un modo che è già molto classificato ed etichettato. Tutto questo ci conduce verso una forma di inerzia. Siamo pronti ad accettare una verità che presumiamo acquisita… È il prezzo che paghiamo per entrare a far parte delle comunità, per essere accettati all'interno di essa>>. Il succo del discorso è che siamo a conoscenza solo di frammenti di realtà della Storia, ed è impossibile trovare delle risposte definitive ai nostri continui quesiti. Anzi, la Storia, così per come ce la raccontiamo, ad esempio a scuola, è una delle nostre principali finzioni. I regimi comunisti l’hanno falsificata in maniera programmatica. Da quel momento in poi, nessun individuo appartenente a paesi che sono vissuti per decadi all’ombra del comunismo, ha più potuto credere a qualsivoglia stabilità della Storia, né tanto meno all’esistenza di verità immutabili.  

Una delle caratteristiche che colpisce di più di questo film, è la rappresentazione proprio fisica del potpourri culturale che è, ed è sempre stata, la Romania, proprio come tutti i paesi balcanici, qui follemente rappresentati anche dall’amica croata di Zagabria, in un’esilarante avvicendarsi di situazioni tragicomiche. Per tutto il tempo la radio posizionata nella cucina dell’appartamento, che in maniera anche in questo caso molto realistica sentiamo ogni volta che si apre la porta di quella stanza, trasmette brani cantautoriali italiani, come una nota canzone di Fabrizio De André, alternati a musica inglese contemporanea, o anni ’80, che sapientemente si mescola, creando una sensazione straniante di surrealtà, così come fanno tradizione e cultura contemporanea, religione cattolica e greco ortodossa, retaggi del comunismo, abitudini e speranze, nonché un certo approccio rispetto al ruolo di uomo e donna, che nello schieramento dei personaggi, dagli ottanta agli zero anni, vediamo mutare drasticamente. <<Siamo nella confusione più totale>>, ha dichiarato Puiu, <<forse ci sarebbe un’uscita di sicurezza: la fede. Ma io non sono né cattolico, né ortodosso… e malgrado abbiamo tutti molte idee su ogni religione, in realtà non sappiamo nulla della spiritualità. Semplicemente, non intraprendiamo questo percorso>>.

Come sostiene in regista, è tutta una questione di struttura. <<Come le api e le formiche, gli esseri umani vivono in comunità e se in essa viene a mancare un elemento, bisogna riconfigurare l'intera struttura, ricomponendo tutto l'insieme. Quando qualcuno muore, tutto cambia all'interno di una famiglia: si scatena una lotta di potere e ciascuno propone il proprio programma, come in una campagna elettorale>>.

Uno spaccato di estremo realismo insomma, girato in maniera rigorosa, apparentemente semplice, lineare e dominato dalla parola, ma in realtà molto sofisticato anche dal punto di vista estetico, con la macchina da presa praticamente incollata alle spalle di Lary, sempre più smarrito, al centro delle prese di posizione del suo parentame, così come del corridoio dell’appartamento, che dà accesso alle varie stanze, in cui si consuma il tragicomico dramma della vita umana, col suo carico di sentimenti, pensieri, sogni e immaginari.

Sieranevada lo si potrebbe definire crudo, divertente, caustico, commuovente, tragicamente comico, come la sua popolazione. L’iconografia del pasto corrisponde ad una ritualizzazione delle cose: è comprensibile da parte di tutte le culture e la reazione egoistica di fronte alla fame fa capire quanto la società stia diventando sempre meno solidale. L’appartamento è invece metafora perfetta di un mondo di cui conosciamo bene i confini: è l’immagine speculare della nostra realtà, su scala ridotta. Evadere dalla casa è impossibile, così come dalla famiglia, dalla propria società, dal pianeta. Non resta che esserne consapevoli, ed entrare in tutte le stanze, posizionandoci di fronte all’Altro da noi. Le porte si aprono, si chiudono, sono accessi, ma anche ostacoli. Portano all’orecchio frammenti di storie, brandelli di parole che compongono serie di avvenimenti. Nessuno però possiede la concezione dell’intera vicenda: che sia della comunità, o di un evento personale, la vita resta un puzzle di cui ci mancano la maggior parte dei pezzi.

Gli attori tutti bravissimi e hanno visibilmente lavorato sul realismo della recitazione: sono talmente spontanei e convincenti, ognuno nelle loro parti, da sembrare veri. Ci si sente a casa in questo film e con Lary si ama, si odia, si ascolta, si ride, e viene anche fame e voglia di andarsene il prima possibile, in preda all’esasperazione. Un film coraggioso, senza dubbio, soprattutto dal punto di vista formale, oltre che contenutistico. Il cinema fa in modo che la posizione dello spettatore diventi quella della macchina da presa: in questo caso diventa lo sguardo di un vero e proprio uomo invisibile, che è il defunto. Nella tradizione ortodossa, la sua anima è libera di muoversi per 40 giorni, e così si congeda, in maniera silenziosa, osservando i suoi cari.

Il titolo, Sieranevada, è un gioco di parole: una voluta e sbagliata fusione tra Sierra e Nevada creata perché il film non dovesse cambiare il proprio nome in ogni paese. Doveva rimandare ad un luogo, ad uno spazio, e questo faceva appunto pensare a catene montuose che assomigliano a palazzi di appartamenti comunisti, a  serie concatenate di blocchi di pietra chiara, e a quel mondo alveolare, con finestre tutte identiche, che simboleggia, secondo il regista, anche <<la mancanza di fiducia della comunità dei rumeni>>. Ma in fondo la verità è che il titolo non ha alcuna importanza: la nostra mente ha questo assurdo bisogno di attribuire senso a qualunque cosa, anche dove non c’è significato. Nella realtà, qualunque titolo può andare bene… a meno che non ci siano secondi fini, ad esempio commerciali.

Tuttavia mi resta un dubbio: che giro potrà vivere, un film del genere, nell’odierno panorama cinematografico? Che fruitori immaginava?! Perché nulla potrà toglierlo, secondo me, dalla nicchia del cinema d’essai, ed è un peccato, perché se non fosse per la voluta esasperazione che ha voluto ricostruire, in particolare attraverso il tempo della narrazione, sarebbe stato goduto da molti. Ma forse mi sbaglio di grosso, e la sua carta vincente è proprio questa: voleva raccontare la realtà non solo di una famiglia, ma di una nazione, di una cultura, di una certa forma di civiltà. Cosa che in effetti, è riuscito a fare.

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