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8/10

Tokyo Koen regia di Shinji Aoyama

Commedia
recensione di Alessandro Giovannini

Koji (Haruma Miura), studente universitario con ambizioni di fotografo, si diletta nel fotografare famiglie nei vari parchi di Tokyo. Ha una sorrellastra cui è molto legato, un'amica che stava con suo fratello, scomparso da poco tempo, una matrigna malata di cui si occupa il padre. Un giorno, mentre è impegnato nelle sue fotografie, viene avvicinato da un ricco uomo d'affari che lo paga per fotografare di nascosto la moglie, che gira diversi parchi della città , forse per incontrarsi con un amante segreto. Titubante, Koji accetta: questa scelta lo porterà  a porsi domande (e trovare anche qualche risposta) sui rapporti uomo-donna, la socialità  ed i sentimenti umani.

Simbolico e poetico, ma anche più concreto di quel che appare, Tokyo Koen è una specie di preghiera shintoista del nuovo millennio, officiata dal regista Shinji Aoyama, che invoca una pace ed un'armonia esistenziale che coinvolga tutte le persone. Il regista, attraverso la maturazione del suo protagonista, invita lo spettatore ad aprirsi al prossimo, ad esternare le proprie emozioni condividendole con l'Umanità , che viene immaginata come una rete collegata dal pulsare delle esistenze. Come un parco, la collettività umana è un ecosistema che si autoalimenta e che circonda le singole individualità  come un sublime involucro, il cui contenuto è riempito da ciascuno di noi. Ovviamente possiamo riempirlo di sentimenti positivi, contribuendo a migliorarlo, oppure galleggiare nelle piccole liti, nei piccoli screzi quotidiani, che accumulandosi giorno dopo giorno annebbiano la nostra vita ingrigendo la nostra gioia, la nostra capacità  di goderci la vita e di influenzare positivamente gli altri, auto-condannandoci all'insoddisfazione. Al suo quinto lungometraggio, il regista giapponese usa il medium del cinema per raccontarci la storia di un ragazzo fissato con il medium della fotografia, e attraverso di essa penetra (e ci fa penetrare) con lo sguardo all'interno delle persone, nella loro anima; si mischiano così realtà  e sogno, vivi e morti, realismo e poesia. La materialità  filtrata dall'obbiettivo: l'occhio artificiale della macchina fotografica di Koji (e per estensione, quello della telecamera del regista) è ciò che ci permette di scorgere questa bellezza nascosta; Aoyama dirige così un film meta-filmico, che ci parla dell'importanza e della potenza della settima arte. Il tutto nei toni di una solare commedia, con momenti più cupi ed altri più allegri, ma senza mai cadere nel dramma, rimanendo luminosa e lieta per tutta la sua durata. La bellissima fotografia esalta i colori caldi che risplendono sullo schermo dilettando la vista. La simpatia dei personaggi, incarnati da ottimi attori, rende piacevole l'elemento narrativo ed apprezzabile quello psicologico. La telecamera, spesso non troppo distante dai corpi umani, si lascia andare a splendidi scorci naturalistici nelle scene ambientate nei parchi, dove il regista pare deliziato nel contemplare le bellezze della natura. Infine, una gradevole e non invadente colonna sonora (pezzi lounge alternati da melodie più tipicamente orientali) fa da sottofondo a diverse sequenze dialogiche con un effetto piacevolmente rilassante. Mantra cosmico (la cosa più simile cui si può pensare è il recente The Tree of Life di Terrence Malick), Tokyo Koen è un poema audiovisivo sull'amore (in tutte le sue sfumature ed accezioni) che lega gli esseri umani e sulla necessità  da parte di questi ultimi di rendersi conto di un legame che li unisce in un'unica entità  universale, che tutti possono (e devono) contribuire ad arricchire.

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