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9/10

The Truman Show regia di Peter Weir

Commedia
recensione di Maurizio Pessione

Truman Burbank è nato e cresciuto in una cittadina al centro di un’isola dalla quale non si è mai mosso, si è invece sposato e lavora in una compagnia di assicurazioni.  Tutto sembra filare per il verso giusto nella sua vita. Se si esclude un episodio drammatico, quando era giovanissimo, nel corso del quale il padre è morto annegato durante una tempesta in mare mentre erano usciti assieme in barca a vela, per il resto la sua si potrebbe definire una vita serena ed esente da problemi. Lui non sa però che in realtà è il protagonista di un ‘reality show’ televisivo, con ben 5000 telecamere nascoste che lo riprendono giorno e notte da quando è al mondo. Le persone intorno a lui infatti sono tutti attori che recitano una parte. Persino i luoghi sono fittizi perché l’isola si trova all’interno di una grande cupola, perfettamente mimetizzata, dentro la quale il regista e gli autori del programma, che è seguito in tutto il mondo, possono controllare ogni  cosa, incluse le condizioni atmosferiche, la luce del giorno e la notte. Nonostante gli anni trascorsi,Truman non ha mai sospettato niente, ma ad un certo punto si verifica una serie di stranezze intorno a lui che piano piano lo porta a sospettare, sino a convincersene che qualcuno lo sta manipolando. Dopo l’iniziale sconcerto egli assume atteggiamenti di ribellione nei confronti delle persone che gli stanno intorno, inclusa la moglie, ma non trovando le risposte che vorrebbe, tenta infine la fuga. Vincendo le sue paure riguardo il mare, create ad arte a suo tempo, decide di prendere il largo con una barca a vela per scoprire la verità. Il regista allora cerca di fermarlo in tutti i modi, ma Truman è troppo determinato e quando infine va a sbattere con la barca contro la struttura della cupola che sembrava invisibile, ottiene la conferma definitiva ai suoi sospetti. Di fronte a lui appare quindi una scala che sale fino ad una porta con la scritta ‘exit’. L’autore del programma cerca di convincerlo a recedere dai suoi propositi, descrivendogli il mondo esterno come peggiore di quello che lui ha conosciuto sin lì, ma Truman a quel punto preferisce comunque aprire la porta ed oltrepassarla assumendosi il rischio di affrontare il mondo esterno, libero però dai condizionamenti che hanno caratterizzato la sua vita sino a quel momento.    

The Truman Show è uno di quei film che precorrono i tempi. Uscito tredici anni fa sugli schermi è forse più attuale ed emblematico adesso di allora, anticipatore di una società esasperata dai media e dalla TV in particolare, nella quale finzione e realtà si confondono fra di loro, in un rincorrersi e superarsi reciproco sino a renderle in pratica indistinguibili.

In una civiltà nettamente sbilanciata verso l’apparire piuttosto che l’essere, quali sono le trasmissioni TV che ottengono maggiore audience, in maniera trasversale in quasi tutti i paesi del mondo occidentale? I cosiddetti ‘Reality Show’ ovviamente, come ‘Il Grande Fratello’ e ‘L’Isola Dei Famosi’, il cui obiettivo è quello di improvvisare una diversa vita di relazione, in un ambiente appositamente artefatto, facendo convivere per alcuni mesi in condizioni di libertà limitata un gruppo di persone consenzienti e sconosciute fra di loro, per confrontarne le reazioni. I telespettatori da casa possono seguirne le attività giorno e notte attraverso gli schermi TV e con un procedimento ad esclusione viene scelto infine il migliore, una sorta di sopravvissuto, in ossequio al celebre motto del film Highlander …ne resterà uno solo’. Una variante a questo profilo è costituita dai format come ‘Amici’ o ‘X-Factor’, i cui titoli a volte sì, a volte no, replicano gli originali che provengono di solito dai paesi anglosassoni e che mettono a confronto alcuni talenti artistici ancora sconosciuti ai più in una gara che non si limita però soltanto a valutarne le capacità sul palcoscenico, ma li costringe a loro volta a coesistere per un certo periodo di tempo in una specie di recinto mediatico nel quale le loro personalità vengono sezionate, rivoltate, triturate in un alternarsi fra le esibizioni ed il fuori onda dietro le quinte. Questo scenario si è sviluppato a macchia d’olio anche in altri palinsesti televisivi e negli spettacoli d’intrattenimento in particolare, tipo quelli che vedono disputarsi conflitti di natura personale in aule di tribunale improvvisate dentro gli studi televisivi, davanti a giudici che replicano il ruolo che hanno ricoperto nel corso della loro vita professionale. Alcuni attori improvvisati ed assunti allo scopo recitano le parti delle persone comuni in lite fra di loro su questioni di vario genere che coinvolgono ed appassionano il pubblico dei telespettatori, convinto per la gran parte che si tratti di avvenimenti e persone reali. Passato al setaccio, ciò che resta di autentico alla fine diventa persino superfluo da pesare e forse non interessa neppure più nessuno.

Peter Weir, la cui filmografia non è nuova ad opere innovative e sottili dal punto di vista dell’ambientazione e dei temi, che hanno lasciato una traccia significativa in vari generi, come Picnic ad Hanging Rock, Witness – Il Testimone, L’Attimo Fuggente, per citare i tre titoli più indicativi, è andato ancora più in là in questo caso, mettendo in scena una metafora pungente e folgorante sull’influenza dei media, che parte però da una prospettiva completamente ribaltata rispetto a ciò che propongono di solito i Reality TV. The Truman Show quindi è la rappresentazione esasperata delle conseguenze che una società dominata dai media genera nel pubblico in generale e quindi sul singolo.

Se nel ‘Grande Fratello’, considerato come prototipo del genere, i protagonisti sono consapevoli del ruolo che è stato loro affidato, cercato e voluto da essi stessi, così che tutto ciò che accade in seguito è intenzionalmente una parodia della spontaneità, nella storia proposta dal regista australiano invece tutti recitano una parte, tranne uno,  Truman Burbank, che è l’ignara vittima di una colossale montatura iniziata quando è nato e che da allora è andata ininterrottamente in onda, senza che lui ne sia stato in alcun modo informato, come cita la stessa locandina.

Truman è nato e cresciuto nella cittadina di un’isola nella quale tutto è fittizio: le persone che lo circondano sono attori, anche se lui non lo sa; le case, le vie, i palazzi e persino le aziende sono state costruite intorno a lui ed anche l’alba, il tramonto, il sole, la luna, il cielo, la pioggia e le tempeste fanno parte di un grandioso studio scenografico che racchiude questo mondo a parte sotto una immensa cupola, visibile persino dallo spazio. Dentro di essa è stato approntato un microcosmo a sè stante nel quale la figura di Dio è surrogata dal regista dello show ed il pubblico a casa o nei locali pubblici può assistere ininterrottamente dallo schermo del proprio TV al corso degli eventi che coinvolgono il protagonista, analogamente a quello che avviene, fatte le dovute proporzioni, per il già più volte citato ‘Grande Fratello’ e modelli similari.

Gli stessi nomi degli interpreti sono indicativi e funzionali: Truman sta per ‘True Man’ (che in inglese più o meno significa ‘Uomo Vero, Autentico’, l’unico fra tutti i personaggi che entrano ed escono dal film che è ingenuamente se stesso, come d’altronde sottolineano i titoli di testa), il regista che ha inventato lo show si chiama Christof (tolta l’ultima lettera è facile intuire a chi si sta alludendo…), la moglie di Truman si chiama Meryl come la celebre attrice Streep ed il suo migliore amico si chiama invece Marlon come Brando, per sottolineare, se ce ne fosse ancora bisogno, il loro compito nella storia. Naturalmente in un gioco così evocativo allo spettatore meno avvezzo ai riferimenti ed alle simbologie cinematografiche è possibile che dopo un po’ sorga qualche dubbio su dove vogliono andare a parare gli autori.

Eppure, a ben vedere, in un’opera dai confini insondabili come questa si finisce per essere tutti coinvolti, anche inconsapevolmente. Ci sono almeno quattro distinti livelli di lettura in The Truman Show. Il primo livello è quello rappresentato dal pubblico che assiste al film di Peter Weir, del quale pure chi scrive fa parte ovviamente. Il secondo livello è quello del pubblico all’interno del film, che segue passivamente le vicende che riguardano Truman ed è coinvolto emotivamente nello sviluppo del reality show diretto da Cristof. Il tutto è infarcito di pubblicità, anche subliminale, per incassare i proventi degli sponsor. Il terzo livello è rappresentato dagli attori i quali, seguendo le indicazioni del regista, recitano le loro parti intorno al protagonista. Il quarto livello è lo stesso Truman, che non sta fingendo ed è l’unico a non sapere di essere spiato sin nell’intimità (seppure un telespettatore intervistato ad un certo punto sostiene che ogni volta, sul più bello, non vengono mostrate le immagini più ‘calde’) da migliaia di videocamere, addirittura 5.000, nascoste abilmente a beneficio del più vasto pubblico possibile nel pianeta il quale perciò non si perde neppure un secondo della giornata della inconsapevole star e si commuove, ride, parteggia, critica, ironizza sulla sua storia che poi, a conti fatti, non è molto diversa nella pratica da quella delle persone comuni.

Risalendo a ritroso questa curiosa organizzazione gerarchica, volendo si potrebbe arrivare ad allargare l’orizzonte sino a sfociare ad una sorta di metafisica, considerando che anche gli spettatori del primo livello potrebbero essere vittime a loro volta di eventi preordinati e che ‘qualcuno’, ad un livello ancora superiore, potrebbe dirigere un processo che tende all’infinito arrivando fino ad alcuni dei noti ed irrisolti interrogativi trascendentali. Per questa ragione forse il film ha pure generato alcune riflessioni ed interpretazioni fra i teologi, suffragate da alcune tracce che si trovano disseminate lungo la trama e che quindi in qualche modo le avvalorano. Senza spingerci troppo in là, qualcuno, ad esempio, ha accennato al numero 139 della barca di Truman, leggendovi una relazione con il Salmo 139 dell’Antico Testamento che inizia all’incirca con la frase ‘Signore, tu mi scruti e mi conosci…’, cioè nella sostanza l’atteggiamento che assume Christof nei confronti di Truman nel momento cruciale della storia.

Ed Harris, nel film di Peter Wear è il regista che dirige la paradossale commedia di Truman e ne esprime compiutamente la personalità sbilanciata sino all’onnipotenza. Cristof apre il film con un primo piano nel quale spiega come in un mondo nel quale gli attori si limitano oramai a fornire false emozioni in spettacoli pirotecnici, soltanto il protagonista del suo show in realtà è se stesso, vero e spontaneo, senza un copione da recitare. Tutt’al più Truman Burbank è condizionato a sua insaputa da una sceneggiatura che gli impedisce di uscire dall’isola nella quale è cresciuto ed ogni volta che ci prova, con uno stratagemma avviene qualcosa di fortuito e casuale che glielo nega. Truman infatti non sa di essere al centro del più fantasmagorico set e della sceneggiata più colossale mai realizzati.

Se qualcuno avesse mai supposto e sospettato di potersi ritrovare in una situazione simile a quella di Truman Burbank, in occasione di qualche evento particolare la cui natura lo ha fatto dubitare riguardo la casualità, o proprio a pretesto di essa, in quest’opera troverà tutte le analogie del caso. I media sono riusciti nel corso degli ultimi anni a far crescere esponenzialmente questi dubbi, che sono di origine spirituale, ma che possono diventano persino risibili se confrontati paradossalmente con ciò che accade di solito in trasmissioni come ‘Scherzi a parte’ ad esempio, nella quale in fondo si ordisce una beffa ai danni di qualcuno facendogli apparire per reale una condizione pilotata. Grottescamente nel mondo attuale soggiogato dai media e nel quale le regole dello show business prevalgono su ogni cosa, dilatandolo a dismisura, l’uomo rischia di essere se stesso ed al riparo da eventuali manipolazioni esterne solo in un caso: quando è assolutamente anonimo, banale ed insignificante: come Truman Burbank appunto, se non fosse però che lui è la star più ignara della storia.

Truman è vissuto serenamente per molti anni in una società precostituita. Le persone intorno a lui si sono sempre dimostrate simpatiche ed amichevoli nei suoi confronti ed i suoi problemi sono sempre stati irrisori e facilmente risolti. Solo uno shock in età adolescenziale lo ha condizionato sinora: la morte per annegamento del padre, simulata pure quella ovviamente, durante una tempesta in mare a bordo di una barca a vela, che gli ha indotto un rifiuto preventivo verso le distese d’acqua in genere. Un episodio generato ad arte per evitare che gli venisse in seguito la tentazione di uscire dall’isola nella quale è costretto a vivere come in una prigione dorata, a sua insaputa. Durante un’intervista esclusiva ad un anchorman della TV Cristof risponde ad una telefonata in diretta di Silvia, una ex appartenente al cast della trasmissione, che lo accusa di aver manipolato la sua creatura, obiettando che lui ha dato invece a Truman la possibilità di vivere una vita normale, mentre il mondo che conosciamo abitualmente, quello sì che è malato. E conclude dicendo che Seaheaven, la cittadina-set dov’è ambientato lo show, è come il mondo dovrebbe essere.

Qualcosa però si rompe nell’ingranaggio: l’attore che interpretava suo padre prima che perisse annegato riesce a farsi riammettere nel cast e Truman lo riconosce nei panni di un mendicante. Una ragazza che si mostra interessata nei suoi confronti (Natasha McElhone, la Silvia citata innanzi) cerca di metterlo in guardia svelandogli l’impalcatura costruita intorno a lui, un attimo prima che un’auto, alla cui guida c’è il suo presunto padre, la raggiunga e la porti via a viva forza facendola passare agli occhi di Truman come una schizofrenica. A causa di un guasto alla radio dell’auto lo stesso Truman capta alcuni dialoghi dai quali capisce inequivocabilmente che qualcuno sta controllando e seguendo i suoi movimenti. Egli riceve un’ulteriore conferma dal comportamento della moglie Meryl la quale spaventata dall’atteggiamento minaccioso assunto dal marito si lascia sfuggire una richiesta di intervento da parte della regia per calmarlo subito dopo aver inviato l’ennesimo messaggio pubblicitario. Nel frattempo Truman ha pure scoperto che intorno a lui le persone si muovono ripetendo ciclicamente gli stessi gesti e le sequenze di apparizione. Inoltre, entrando di sorpresa nell’ascensore di una banca (finta), egli si trova di fronte una troupe che sta preparando una scena, dalla quale viene prontamente allontanato. Durante un tentativo di fuga in auto infine un poliziotto lo chiama per nome come se lo conoscesse da una vita, pur essendo quest’ultimo a lui estraneo. Ce n’è abbastanza insomma perché Truman inizi a muoversi in modo scoordinato rispetto alle aspettative del regista, sino ad architettare un vero e proprio piano di fuga. Una notte riesce infatti a nascondersi al controllo delle telecamere e, vincendo il terrore per l’acqua, si appropria di una barca a vela, il cui nome è ‘Santa Maria’, come una delle caravelle di Cristoforo Colombo, con la quale prende il largo e si avvia a scoprire il suo ‘Nuovo Continente’. Gli autori ne perdono il controllo e sono persino costretti un paio di volte ad interrompere le trasmissioni, fra lo stupore degli spettatori. Quando Truman viene infine ritrovato in mezzo al mare, simulano una nuova tempesta correndo persino il rischio che possa cadere in acqua ed annegare, ma nonostante tutto riesce a passarla liscia. Cristof allora desiste e si arrende all’evidenza, ripristinando le normali condizioni atmosferiche, poco prima che il novello Robinson Crusoe vada a sbattere con la sua barca a vela contro la struttura della scenografia posta intorno all’isola, perfettamente mimetizzata con lo sfondo. La sorpresa si confonde con la certezza dei suoi sospetti e mentre una voce, quella del regista che sembra provenire dal cielo come fosse il Creatore (ed in un certo senso lo è davvero), cerca di convincerlo a recedere dai suoi propositi, avvisandolo che il mondo esterno sarà molto peggio di quello che lui ha conosciuto sino ad allora. Truman allora scende dall’imbarcazione e sale una scala che lo conduce verso una porta con la scritta ‘Exit’. A quel punto, mentre gli spettatori che hanno seguito la sua lunga storia partecipano con il fiato sospeso e grande commozione all’epilogo della stessa, inclusa Silvia che per prima gli aveva fatto le rivelazioni sulla spiaggia e che ora fa il tifo per lui seguendolo in TV, egli rivolge un inchino a Cristof e declinando l’offerta di tornare indietro verso la falsa sicurezza, apre la porta e si lancia verso il buio dell’incertezza ma anche del libero arbitrio.

Dando per scontati i riferimenti a Metropolis di Fritz Lang e 1984 di George Orwell, The Truman Show è straordinario dal punto di vista scenografico (Dennis Gassner), non solo quindi per i temi provocanti che propone. È un film che colpisce per la visione dissacratoria e penetrante della nostra civiltà vista attraverso il potere dei media. La ricostruzione in studio di una cittadina ed un’isola nelle quali gli autori manipolano persone, cose e persino gli scenari meteorologici è impressionante ed inquietante. Si tratta perciò di un’opera insolita nel panorama del cinema contemporaneo, di stampo sociologico e filosofico, che coinvolge vari strati della nostra civiltà ponendo seri interrogativi pur in un contesto stravagante ed esasperato. La stessa scelta di Jim Carrey come interprete è da considerare in tal senso. Difficilmente riuscirà mai a togliersi quella Mask che porta in viso, soprattutto quando sorride, però la sua in questo caso è una prova di grande maturità espressiva.

Suggestive le musiche di Bukhard Von Dallwitz, bella la fotografia di Peter Biziou che riprende i colori caldi delle commedie americane degli anni sessanta e parecchie sono le scene di particolare impatto visivo ed emotivo che s’incontrano nel corso del film, inclusi alcuni personaggi che appaiono ogni tanto fra il pubblico che sta seguendo Truman nel corso delle sue peripezie: dalla gente riunita nei locali pubblici che scommette sulle scelte determinanti del protagonista, alla coppia di anziane che stringono il cuscino con la sua immagine stampata (una delle tante voci relative al merchandising generato da questo fenomeno sfruttato adeguatamente dagli autori), alla coppia di guardie le quali chiudono il film con una frase esemplare, una volta inteso che le avventure del loro eroe sono giunte alla conclusione: ‘...cosa propone la guida TV ora?’. Nell’odierna società dei consumi infatti anche un evento straordinario come questo, pur prolungato per così lungo tempo, viene velocemente archiviato, non appena si conclude, per far posto al successivo, con naturalezza e senza traumi, per essere presto dimenticato e rimpiazzato. ‘The show must go on’ cantavano i Queen ed in effetti in questo gioco perverso i protagonisti sono tutti meccanismi transitori al servizio di una macchina poderosa che si chiama… media, il totem che l’uomo stesso ha creato ma dal quale è sempre più condizionato.

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Voto degli utenti: 8,8/10 in media su 8 voti.

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bargeld (ha votato 9 questo film) alle 21:09 del 20 luglio 2011 ha scritto:

Bellissima recensione e film di livello assoluto.

dalvans (ha votato 8 questo film) alle 0:42 del 12 ottobre 2011 ha scritto:

Buono

Buon film