Kill Me Please regia di Olias Barco
CommediaNella sua clinica isolata tra i monti il dottor Krueger esaudisce i desideri di morte di pazienti paganti e ben motivati ma la comunità non sembra approvarne i metodi. Braccati da un gruppo di montanari moralisti, gli ospiti dell’istituto (un campionario di grottesca “umanità”) diventeranno i bersagli di un esilarante gioco al massacro che non risparmierà (quasi) nessuno.
Meritatissimo vincitore del Marc’Aurelio d’oro al quinto Festival Internazionale del Film di Roma, Kill Me Please – black comedy politicamente scorretta che ironizza sulla morte (assistita) affrontando con caustico sarcasmo il delicato tema dell’eutanasia – arriva (a sorpresa) nelle sale italiane grazie alla sapiente opera distributiva della Archibald Enterprise.
Armato di una sceneggiatura al vetriolo (scritta a sei mani con Stéphane Malandrin e Virgile Bramly, anche interprete), il regista belga Olias Barco confeziona un ordigno altamente esplosivo di divertimento intelligente, innescato ancor prima dei titoli di testa (con la partecipazione straordinaria dell’attore-regista Benoît Poelvoorde) e capace di conquistare il plauso unanime di pubblico e critica.
“Kill me please” implorano i disfunzionali pazienti del dottor Krueger (Aurélien Recoing), e ognuno sembra avere le credenziali giuste per ottenere un biglietto di sola andata destinazione “miglior vita”. Aspiranti suicidi di tutto il mondo, unitevi!, alla corte di Herr Doktor c’è posto per tutti (ma non per tutte le tasche): soprani (trans) che hanno perso la voce, malati terminali, depressi cronici e spostati di ogni sorta hanno un solo desiderio, abbandonare in fretta (e con stile) le rispettive, miserabili esistenze.
Con spirito "punk" e decisamente anticonvenzionale, Barco oppone allo spinoso dibattito etico l'esibizione (critica) di una raffinata cultura della buona morte e le assurde pretese avanzate dai personaggi per andarsene “con grazia ed eleganza” (magari cantando la Marsigliese o gustando un’ultima cena parigina) finiscono con l’adombrare la serietà di un tema ad oggi talmente rischioso da essere considerato tabù. La comicità tagliente si stempera nel monologo finale di Krueger, forte di una logica inappuntabile: un suicida costa allo stato 850.000 dollari l’anno (a quanto pare i canadesi ci sanno fare con le statistiche), quale modo migliore per risparmiare se non creare una clinica che ne contenga e dissuada i propositi? Ma i fanatici bigotti arroccati sulle montagne non sembrano pensarla allo stesso modo.
Accerchiati e senza cibo, i dieci piccoli insani si barricano nella fortezza gotica di Krueger, baccagliando sul primato di morte che ciascuno sente di meritare più degli altri. Esplode il panico, alleanze insospettabili si stringono e la clinica della morte, ammantata com’era di “decenza” e “dignità”, si trasforma in un campo di battaglia dagli esiti irresistibilmente spassosi. L’intero cast corale ce la mette tutta per rendere l’esperienza mortifera il più folle possibile, con un’inventiva assassina che avrebbe reso certamente orgoglioso un morboso esteta dell’omicidio quale Alfred Hitchcock: le sequenze memorabili non si contano. In un bianco e nero da espressionismo tedesco - scelto saggiamente da Barco con la complicità del direttore della fotografia Frédéric Noirhomme - la paura non riesce ad avere il sopravvento sul black humour dominante e la grottesca sequela di omicidi più o meno intenzionali suscita lo stesso, ironico distacco di certe surreali pellicole dei fratelli Coen (vedi Burn After Reading).
Impossibile darsi un contegno: la satira di Barco è implacabile. E poiché il cattivo gusto è di casa, possiamo permetterci di dire che si muore dal ridere, anche sui titoli di coda (con finale-gioiello), ma di quel riso amaro, pirandelliano, che apre alla riflessione proprio quando l’effetto della serotonina comincia a svanire.
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