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5/10

Baby Mama regia di Michael McCullers

Commedia
recensione di Alessandro Pascale

Kate Holbrook è un'imprenditrice di successo che ha messo per molto tempo la sua carriera davanti la sua vita personale. Ora a 37 anni sogna di avere un bambino ma i suoi progetti vengono messi in crisi quando scopre che ha solo una possibilità  su un milione di rimanere incinta. Imperterrita, Kate consente ad Angie Ostrowiski, una ragazza di South Philadelphia, di diventare il suo improbabile surrogato...

Adesso tutti a dire che Baby mama è una bella commedia frizzante, intelligente, sferzante, gradevole a vedersi e in grado di divertire tenendo acceso il cervello. Sarà, ma a me a parte qualche piccolissima intuizione divertente ci ho trovato ben poco. E quel che ci ho trovato è pure molto sgradevole. Partiamo da un’analisi che ci oseremmo dire “superficialmente tecnica”: la storia è accattivante è vero, ma diciamolo subito che manca il ritmo che conviene ai tempi moderni. Senza ritmo una commedia nun s’ha da fare, punto e basta. E qui il ritmo non c’è nelle quantità che servirebbero, alternando momenti più che godibili ad altri decisamente melensi e patetici.  

Il punto forte, inutile dirlo, è dato dalla marea di battute che buttate nel mucchio ogni tanto colpiscono nel segno. Altro punto di non debole importanza è la presenza di un cast davvero notevole per una commediola del genere, con particine succose ad un diabolico Steve Martin (qui nei panni di un ricco dirigente-proprietario fricchettone con la coda) e alla raffinata Sigourney Weaver, che partorisce pargoli a ripetizione alla faccia della protagonista Kate (Tina Fey) la quale ricorrerà ai servizi della sua azienda per cercare un utero “in affitto”. Niente di illegale, per carità, soltanto una semplice e comoda pratica di madre-surrogato. Ed entra in gioco Angie (Amy Poehler), la ragazza dei bassifondi che per raggranellare due soldi svende nove mesi della propria vita.  

Due osservazioni: 1) sono decisamente stufo di questi film che trattano con questa spregiudicatezza e leggerezza il tema della maternità. Mi viene in mente Juno, che pensando di fare effetto contrario trattava la questione come se fosse un gioco di bambole, ottenendo il risultato di desensibilizzare perfino il criceto del mio nipotino che, ahilui!, non ha mai conosciuto una compagna di sesso femminile. 2) quello che Michael McCullers fa è uno spudorato tentativo di rinverdire la commedia americana più becera dal punto di vista sociale. Baby mama infatti è un film che per molti versi tenta di far coesistere tutti i settori della società verso un fine comune.  

L’aspirante madre Kate è un manager di successo che guadagna dio solo sa quanti soldi e che decide di avere un bambino dopo aver dedicato tutta la propria vita (trentasette verecondi anni) al lavoro e alla carriera. Non potendo avere bambini (o perlomeno avendo possibilità praticamente nulle) si consente il lusso di staccare un assegno più che generoso per “affittare” la prima poveraccia che trova per strada, ovviamente facendo ricorso ad un agenzia per evitare di sporcarsi le mani. La ragazza trovata, Angie, è ovviamente il contraltare completo di Kate, dal punto caratteriale, abitudinario, costumistico e culturale.  

Angie non se ne rende neanche conto ma è di fatto il prototipo dello schiavo moderno, la futura forma di proletariato matriarcale del nuovo millennio, la quale non ha nemmeno più la prole tra i suoi beni, ma solo l’utero. La mancanza pressochè totale di conflitto (nonché di coscienza di conflitto) oltre alla squallida conclusione (ovviamente a lieto fine) sanciscono di fatto una condizione tragica e apparentemente ingiusta (se lo spettatore non fosse stato pilotato a schierarsi naturalmente dalla parte di Kate): Kate, nonostante abbia sprecato tutta la propria vita mettendo da parte innaturalmente affetti e amore, riesce a soddisfare i suoi interessi ottenendo con un colpo di bacchetta magica tutto quello che le manca.  

Angie invece perde il compagno (che non sarà una grande perdita ok, però…) per guadagnare un figlio. Manco a dirlo la famiglia perfetta è quella dei piani alti, mentre quella degradata e imperfetta rimane nei sottoborghi. Ad aggiungere il fastidio è il fatto che Kate sia uscita sostanzialmente intatta dall’esperienza, mancando completamente un percorso di formazione interiore, il quale invece è completo per Angie. Tale maturazione però è stata indotta dalle lezioni di vita di Kate, quasi a giustificare ed affermare la giustezza di uno stile di vita aristocratico-affaristico-narcisista.  

Ad un livello più macro si può notare la stessa mancanza di conflitto (nonché di contraddizione) nell’arrivo della multinazionale di Martin che di fatto mette in pericolo la sopravvivenza stessa dei piccoli commercianti del quartiere senza che questi facciano di più che fare due domande in un comizio pubblico. Tutto ciò puzza molto di fascista, nello stile di quelle commedie italiane e tedesche dei “telefoni bianchi”, in cui la classi erano rigidamente separate ma tutti andavano d’amore e d’accordo, e i conflitti si regolavano con matrimoni e innamoramenti. Avessero saputo che un giorno ci sarebbe stato il trapianto di ovuli probabilmente ste commedie le avrebbe già fatte Mussolini negli anni ’30

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MissVengeance alle 13:51 del 31 agosto 2009 ha scritto:

a me ha fatto discretamente cacare