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6/10

We Are The Best regia di Lukas Moodysson

Commedia
recensione di Flavio De Cinti

Stoccolma, 1982. Bobo, tredici anni, affronta con una certa intraprendenza la propria adolescenza inquieta. La sua amica del cuore è la coetanea Klara, con la quale condivide una fiera marginalità rispetto agli altri compagni di scuola. Bobo suona il basso e Klara la batteria, amano il punk, vorrebbero una band tutta loro. La svolta avviene quando conoscono Hedvig, bravissima a suonare la chitarra.

Adolescenza.

Lukas Moodysson è uno di quei registi per il quale si potrebbe tranquillamente racchiudere in una singola parola l’intera filmografia. L’adolescenza in tutte le sue fasi, le sue sfumature e le sue inevitabili contraddizioni. Il regista e sceneggiatore svedese aveva già trattato ampiamente il tema nel suo lavoro più conosciuto e convincente, Fucking Amal (1998). Questa volta declina il motivo adolescenziale in chiave comica, raccontando questa piccola storia punk ambientata nella Svezia di inizio anni ’80, trasposizione di una omonima graphic novel firmata dalla moglie dell’autore.

 

Il passaggio dall’infanzia all’età adulta, le barriere tra genitori e figli, la rabbia e la frustrazione adolescenziale, il rifiuto della fallimentare ideologia sessantottina, l’amore e l’amicizia. Ognuna di questa tematiche è presente nella  storia, a tratti esilissima, di queste tre ragazzine punk che decidono di mettere su una band. Il pregio maggiore del film è una certa capacità di ridere di sé e di guardare con disincanto le vicende delle giovani protagoniste. Il regista si concentra su un elemento spesso dimenticato o messo in secondo piano nelle storie di formazione.

 

La goffaggine.

 

Sono goffe, ognuna in maniere diversa, le tre protagoniste Bobo, Klara ed Hedvig. Sono goffe nel loro modo di provare emozioni adulte che ancora non sono in grado di gestire, come improbabili punk  rockers e soprattutto nel rapporto con i propri genitori. Genitori assenti che si rivelano altrettanto goffi e incapaci di confrontarsi, riuscendo soltanto a prendere atto dei propri fallimenti e a schernirsi con un sorriso inevitabilmente amaro. Questo è il cuore del film, ciò che lo rende onesto e tutto sommato ottimista. Rimane inevitabilmente un po’ di amaro in bocca; Moodysson rimane troppo in superficie e non sfrutta le possibilità del film, rimanendo troppo affezionato al registro comico e cercando evidentemente di non far perdere ritmo al film. Si nota chiaramente che i personaggi sono guardati con affetto dal regista, che si limita però in più frangenti al compitino e poco altro. La scelta stessa di rappresentare la realtà punk svedese sa un po’ di ruffianeria (scene come quella del taglio dei capelli o del fastfood risultano stereotipate). Una cornice fumettistica che rende il film visivamente godibile per lo spettatore, ma che in fin dei conti, esclusa una manciata di scene, non ha un’importanza narrativa rilevante. Mancano quel dolore e quella speranza delle commedie nordiche del maestro Aki Kaurismaki, forse l’unico ancora in grado di coniugare emozioni tanto forti in un lungometraggio comico.

 

Menzione speciale per le tre giovani attrici (in particolare la scelta del personaggio di Bobo, con il suo look pseudo gramsciano, è azzeccatissima) e per la splendida colonna sonora, composta interamente da classici della scena punk/new wave svedese da (ri)scoprire (Ebba Gron, KSMB, Staalfagel, Akut Skjut).

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Upuaut 8/10

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