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8/10

Scandalo A Filadelfia regia di George Cukor

Commedia
recensione di Antonio Falcone

Philadelphia. L’ereditiera Tracy Lord ( Katharine Hepburn), donna dai modi freddi e altezzosi,  due anni dopo aver messo alla porta il marito Dexter (Cary Grant), è ormai prossima alle nozze con il minatore George (John Howard), ora a capo di una società, ma l’ex consorte trama alle spalle: conoscendo bene Tracy e gli scheletri nell’armadio della famiglia, presentandosi alla villa insieme al reporter Connor (James Stewart) e alla fotografa Elizabeth (Ruth Hussey), giornalisti di una rivista scandalistica, assiste sornione a tutta una serie di giri di giostra, in uno dei quali viene coinvolto proprio l’idealista ed integerrimo cronista, il cui intervento, tra una sbornia e un tuffo in piscina, sarà risolutivo per la definitiva “conversione” di Tracy …

 “Regista di attori” e “regista di donne”  sono le definizioni che hanno accompagnato nel corso della sua carriera, assicurandogli un posto ben definito nella storia del cinema, George Dewey Cukor (New York, 1899 –Hollywood, 1983), tra i più grandi autori di commedie della Hollywood “del tempo che fu”, per quanto attivo sino a pochi anni dalla sua morte ( il suo ultimo film, Ricche e famose, risale all’ ‘81). Nella direzione dei suoi lavori, focalizzata in particolare sulla valorizzazione della recitazione di ogni singolo attore, contribuì non poco la sua attività come  assistente teatrale e regista, iniziata sin da ragazzo e proseguita per tutti gli anni  ‘20: una volta preso piede il cinema sonoro, con le major di Hollywood bisognose di dialoghisti e registi teatrali, Cukor decise di trasferirsi in California, lavorando per Paramount e Universal, anche in qualità di co-regista, per poi debuttare  in autonomia nel  ‘31 (Il marito ricco).

Delle tante pellicole da lui dirette in questo primo periodo della sua carriera (come  Febbre di vivere,’32, debutto della giovane Katherine Hepburn, o Pranzo alle otto, ‘33, con John Barrymore e Jean Harlow), ho scelto di parlare di Scandalo a Filadelfia per la sua struttura “mista” tra screwball e sosphisticated comedy, simile a tante produzioni dell’epoca, in particolare nella rappresentazione del volubile personaggio femminile, ma che, per alcuni aspetti, ne rappresenta una concreta evoluzione verso future realizzazioni hollywoodiane, nel sentore dei mutamenti nell’ambito sociale e del costume non ancora pienamente e propriamente concretizzatisi.

Affidandosi all’ottima sceneggiatura di Donald Odgen Stewart, premiata con l’Oscar (un altro è stato assegnato a Stewart) e il cui soggetto è l’omonima commedia teatrale di Philip Barry, Cukor punta, più che alla narrazione propriamente detta, a mettere in scena, teatralizzando, con fare divertito ancor prima che divertente, le eccentricità degli ambienti aristocratici insieme a  diverse situazioni e combinazioni sentimentali, trovando il fulcro nelle ottime interpretazioni attoriali (Hepburn e Stewart in particolare)  e nei dialoghi brillanti.

Tutto ruota intorno la figura di Tracy, nell’incontro- scontro con ognuno dei protagonisti maschili a far da cartina di tornasole nella rivelazione della sua vera natura  e dei suoi veri sentimenti, in sentore comunque di reciprocità, oltre che d’interclassismo, almeno sino al rassicurante happy end, dove tutto rientra nell’ “ordine costituito”, dopo averci simpaticamente ed ironicamente illuso che qualcosa al riguardo potesse cambiare. Nel ’56 dal citato soggetto venne tratta una commedia musicale, Alta Società, regia di Charles Walters, nel complesso gradevole, anche se ricordata soprattutto per essere stata l’ultima interpretazione di Grace Kelly, nei panni di Tracy, prima di convolare a nozze col principe Ranieri di Monaco.

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