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6/10

Buongiorno Papà regia di Edoardo Leo

Commedia
recensione di Antonio Falcone

Il “quasi quarantenne” Andrea (Raoul Bova), fisico atletico, abbronzatura da lampada d’ordinanza, capelli tinti, vestiti ben stirati (ci pensa mamma), lavora presso un’agenzia cinematografica di product placement, che gli consente di potersi permettere spiderino e loft in quel di Sabaudia, condiviso con l’amico Paolo (Edoardo Leo), disoccupato, timido, incapace di trasformare il suo sogno nel cassetto in realtà (catering ed animazione per le feste dei bambini), oltre ad avere alle spalle infelici trascorsi sentimentali. Ad interrompere l’ esistenza “autarchica” di Andrea, dove l’unica responsabilità, lavoro a parte, è il mantenimento ad oltranza della propria persona, l’arrivo della diciassettenne Layla (Rosabell Laurenti Sellers), che sostiene di essere sua figlia, frutto di un’avventura in campeggio, con tanto di nonno al seguito, Enzo (Marco Giallini), hippie restio all’estinzione con un passato da rocker

Diretto da Edoardo Leo (l’esordio come regista risale a tre anni fa, Diciotto anni dopo) , anche sceneggiatore insieme a Massimiliano Bruno e Herbert Simone Paragnani, Buongiorno papà delinea un impianto narrativo non certo originale, debitore  di alcune pellicole d’oltreoceano (About a Boy, 2002, Paul e Chris Weitz, Somewhere, 2010, Sofia Coppola, per esempio), ma che offre lo spunto al regista di fare leva su un’ironia basata sulla naturale presenza dei vari personaggi in scena e sulle diverse modalità comportamentali messe in atto nel fronteggiare le problematiche e conseguenti responsabilità che la vita gli ha messo innanzi, per di più nell’ambito di una realtà dove appare ormai sfalsato qualsiasi “classico” parametro di riferimento.

Ecco che un’adolescente come Layla (ben resa tra broncio ed ostinazione dalla Sellers), pur in fase di crescita ed “assestamento” (la madre è morta da poco), ha già le idee ben chiare in testa, ma non sa come dare loro forma concreta se intorno a lei ci sono un padre adulto solo all’anagrafe, il suo amico candido disadattato, un nonno da parte di madre prigioniero di un’era che non tornerà più (se non in forma di tragicomico sonnambulismo) e i due nonni paterni (Paola Tiziana Cruciani e Mattia Sbragia) in via di risolvere una normale crisi di mezz’età con il divorzio, dopo anni di matrimonio.

Si visualizza quindi sullo schermo un’efficace coralità, ogni attore ha il suo spazio e concreta capacità di caratterizzazione (su tutti prevale Giallini, Bova a volte stride nel passaggio dai toni ironici a quelli più seri) nel disinnescare un certo disincanto esistenziale comune a tutti i personaggi, ma di matrice diversa. Fondamentale l’apporto dato da Nicole Grimaudo/Lorenza, l’insegnante di scienze motorie di Layla, che insieme a quest’ultima avrà la sua parte nella crescita definitiva di Andrea.

Peccato per alcuni vuoti che si vengono a creare, colmati dalla solita musica “a palla”, invasiva e debordante, o varie insistenze visive nel caratterizzare i momenti drammatici (l’immancabile pioggia a scroscio dopo un alterco tra padre e figlia), che evidenzia una certa difficoltà nella loro gestione, ovviandovi spesso con un sentimentalismo ai limiti della sopportabilità e pericolosamente vicino ai confini della fiction televisiva.

Siamo comunque, fortunatamente, lontani dal “carino” d’ordinanza, perché l’espressione, spesso abusata, “valida gradevolezza complessiva” trova in tal caso concreta ragion d’essere, con qualche valido spunto di riflessione (oltre a quello della crescita, il tema della pubblicità da sempre presente nei film autoriali) che lascia ben sperare per il futuro.

 

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