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8/10

Il Declino dell Impero Americano regia di Denys Arcand

Commedia
recensione di Alessandro Pascale

Quattro uomini e quattro donne dell'ambiente universitario del Canada francese si trovano per un party in una bella casa di campagna. Gli uomini preparano le vivande in cucina, le donne fanno ginnastica in palestra, e intanto si chiacchiera. E dai discorsi salta fuori la vanità di esistenze inutili, tese solo al soddisfacimento dei piaceri mentre intorno il mondo crolla.

Conoscevo Arcand per quel film-capolavoro manifesto dell’eutanasia che è Le invasioni barbariche, una di quelle opere cinematografiche in grado di far scorrere una lacrimuccia. Un buon pregiudizio da cui partire quindi, per un regista che nonostante la longeva età (classe 1941) nella sua carriera non ha fatto molti film (l’ultimo, L’età barbarica, 2007, è appena il suo sesto lungometraggio).

Quando poi ho visto il titolo non potevo non rimanere affascinato e catturato dall’idea di un bel filmone-predicozzo che mettesse in ridicolo gli amati-odiati yankees. Mi aspettavo quindi una cosa estremamente politica e probabilmente anche un po’ pesante e noiosa e sono rimasto spiazzato nel trovarmi a seguire dialoghi serratissimi da commedia hawksiana anni ’30, in uno stile umoristico schietto, grezzo e molto sporcaccione.

E sì perché l’idea geniale di Arcand è di parlare del declino americano partendo dai suoi costumi quotidiani, tendenti alla perdita completa di un minimo comune denominatore di moralità. Il pretesto diventa quindi una fitta serie di rimandi alle sconcerie sessuali più immonde compiute da pressochè tutti i protagonisti, facenti parte di quella generazione di ex-sessantottini che ha contribuito alla liberazione sessuale dell’individuo moderno.

Non ci sono remore a parlare dei vari tradimenti, delle avventure, delle fantasie più perverse e puerili che riguardano tutti i professori-amici, ritrovatisi per un weekend da trascorrere in compagnia. Il declino mostrato è quindi essenzialmente morale e culturale, ma la tesi portata avanti esplicitamente nel film (enunciata da una delle professoresse) è che questo mutamento sia la prima causa della successiva decadenza politico-istituzionale della civiltà dominante. Di qui l’idea della progressiva fine dell’impero americano.

Il declino però è nascosto e non deve essere visibile, a meno di procurare un evidente trauma nella società. È questo il motivo per cui a sparlare di questi argomenti scomodi sono sempre gruppi tendenzialmente chiusi e autoreferenziali, le donne da una parte, gli uomini dall’altra. Quando i due gruppi si incontrano entra in scena il teatro goffmaniano in cui si recita con la maschera pirandelliana del caso, adattandosi perfettamente alla parte di una borghesia intellettuale tendenzialmente progressista ma fedelmente ancorata ai valori tradizionali della società, sacralità della famiglia in primis.

Gli choc che turbano l’ordine non sono ammessi e quando arrivano il sistema subisce bruschi stop (l’ingresso in scena dell’amante sadomaso un po’ “spostato” durante un pranzo) o collassi tremendi dalle conseguenze imprevedibili (l’aperta rivelazione di una serie pressochè abnorme di tradimenti coniugali). Questi eventi sono simbolicamente il contraltare del sistema mondiale, in cui gli USA fottono allegramente qua e là nel Terzo Mondo, ma mai apertamente e sfacciatamente, bensì sempre con quella “violenza invisibile” e sistemica ben evidenziata dal filosofo Slavoj Zizek, ben diversa dalla violenza soggettiva e quotidiana che nella sua evidenza è più facile da identificare e condannare.

Il messaggio è chiaro: il teatrino prima o poi è destinato a cadere. E le conseguenze saranno imprevedibili. Arcand non sembra tuttavia turbarsi molto di questa prospettiva per due motivi principali: il primo è che lui, come i protagonisti del film, vivono “alla periferia dell’impero”, onde per cui sentiranno molto meno le scosse del prossimo disastro; il secondo è che tale decadenza è inevitabile e opporsi ad essa è inutile: ogni civiltà è destinata ad un ciclo vitale che prevede ascesa, primato e declino, così come ogni individuo nasce, vive e muore.

Nell’attesa quindi non rimane che seguire il vecchio motto napoletano “chiagne’ e’ fotte’”, all’inseguimento di un edonismo sfrenato che nonostante la sua incapacità di dare la felicità all’umanità (la consapevolezza amara che ogni amore dura non più di uno-due anni) rimane l’unica strada scelta da quello che dovrebbe essere lo strato sociale più colto e illuminato della società, ma che metafore colte a parte, si mostra esistenzialmente sulla stessa barca del villico più ignorante e imbarazzante.

Nonostante tutti questi paroloni è bene ribadire la struttura davvero devastante del film: una commedia travolgente godibile da tutti, con momenti di profonda ilarità dovuti ad un umorismo sincero e popolare, perfettamente aderente all’uomo di strada come al professorone più ingessato che arrivato a casa non vede l’ora di togliersi la maschera e sparare due cazzate con gli amici.

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Voto degli utenti: 8/10 in media su 1 voto.

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dalvans (ha votato 5 questo film) alle 12:22 del 21 ottobre 2011 ha scritto:

Mediocre

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