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4/10

Role Models regia di David Wain

Commedia
recensione di Federico Sargatti

A seguito di un atto di vandalismo contro l'azienda per cui lavorano, Danny e Wheeler finscono in tribunale. Il giudice offre loro l'alternativa tra due condanne: il carcere oppure 150 ore di lavoro socialmente utile da svolgere presso associazioni pedagogiche. Dopo il loro primo incontro con i ragazzini di cui si devono occupare il carcere non sembra più un'opzione così terribile!

Role models è il classico filmetto volutamente modesto buono per le masse che il venerdì sera non escono e restano a casa a crogiolarsi con la prima cagata poco impegnativa con cui azzerare il cervello dopo una settimana di duro lavoro. Posso capire come a volte ci sia davvero bisogno di una cosa talmente easy da non richiedere la minima attenzione, che la vita impegna già di suo notevolmente, ma disprezzo profondamente le persone che fanno di questa abitudine una regola, una consuetudine, se non uno stile di vita.

Ecco perché non potrò mai pensare bene di un film da due soldi come Role models. Nemmeno se il film in questione scorre bene senza troppi intoppi con una modesta serie di gag riuscite e una discreta caratterizzazione dei personaggi (nonostante ovvi e scontati rimandi al Seann William Scott di American Pie e un Paul Rudd un tantinello bamboccione sia per ruolo che per interpretazione).

C’è la figa di turno ovviamente, Elizabeth Banks, che compare qua e là per mantenere sveglio il pubblico arrapato di turno. C’è poi una serie considerevole di tette e culi calibrati anch’essi alla perfezione per essere spalmati durante tutto il film.

E poi c’è la cosa più riuscita e interessante, ossia la nevrosi repressa di Jane Lynch, nel ruolo di un’ex tossicodipendente redenta che sfoga le sue antiche voglie tra giochini sessuali soffusi (memorabile scena dell’hotdog!) e battute incomprensibile ai più.

Qualcuno in giro cercherà di convincervi che pur essendo una robetta da due soldi Role models riesce a colpire nel segno con un messaggio morale di fondo che agisce nel profondo. Sarebbe la questione che la diversità dopotutto è un bene da valorizzare, e anzi, deve essere valorizzata. E dall’incontro con l’Altro si può uscire con un arricchimento reciproco in grado di sistemare i guai individuali di tutti.

Intento lodevole certo, ma il risultato è sempre lo stesso: profonda irrealtà e sensazione di un tuffo in una piscina di zucchero, da cui si esce con l’organismo pronto per un bel diabete maligno.

È necessario affrontare la realtà: due ragazzi pieni di problemi come quelli tenuti a bada da Wheeler (Scott) e Danny (Rudd) nella vita reale soccomberebbero. Mai ci sarebbe un lieto fine come quello annunciato sottotraccia per tutto il film. Mai si finirebbe a vino e tarallucci con famiglie che si ricompongono e amori che rifioriscono tra i sospiri generali. E soprattutto mai si riuscirebbe davvero a uscire da turbe psicologiche e caratteriali laceranti nel giro di centocinquanta ore di lavoro forzato.

La cosa più ipocrita che si può fare è spacciare film del genere ai nostri figlioli un po’ bislacchi facendogli credere che andrà tutto bene e la loro vita sboccerà come uno splendido fiore. Ma la cosa più triste forse è pensare che questi tipi di messaggi vengano assimilati mortalmente dagli stessi vecchi rincoglioniti che arrivati a casa la sera non aprirebbero un libro neanche sotto tortura.

Si continui a vivere nel mondo dolciastro dell’ipocrisia. Il sole continuerà a tramontare e i film che meritano davvero continueranno a (s)comparire malcagati in poche sale d’essai. Amen.

V Voti

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C Commenti

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Peasyfloyd alle 10:16 del 3 luglio 2009 ha scritto:

però

benvenuto federico, e complimenti per lo spirito pacifico ))