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8/10

Il Grande Dittatore regia di Charlie Chaplin

Commedia
recensione di Lorenzo Tremarelli

Un barbiere ebreo e il dittatore di Tomania Adenoid Hynkel hanno le stesse sembianze ma non lo sanno. Il primo, a seguito di alcuni traumi subiti durante la prima guerra mondiale, ritorna cosciente proprio nel periodo dell'instaurazione al potere del secondo e vive un trauma psicologico dopo l'altro quando si rende conto di come è cambiata la situazione del suo paese. Dopo vari e vani tentativi di resistenza suoi, di una ragazza e di altre persone del ghetto in cui vive, il barbiere per una circostanza fortuita ha l'occasione di parlare alla folla al posto del tremendo dittatore ed evitare la tragedia.

 

La caricatura di Hitler da parte di Charlie Chaplin non ha bisogno di ulteriori parole che spieghino l'enorme popolarità di questo film per intere generazioni, la sua elevazione a film simbolo di una filmografia, l'attacco dell’artista comico nei confronti di uno spaventoso e sanguinario tiranno. Il Grande Dittatore contiene punti di elevata e pungente satira ed è bene ricordare che Adolf Hitler durante le riprese di questo film (la cui lavorazione iniziò nel gennaio del 1939) era non solo al punto più alto del suo potere in Germania, ma anche guardato con simpatia da una buona parte dell’opinione pubblica statunitense, per doti di ferma personalità politica e decisionismo legislativo.

Molti infatti spinsero Chaplin a non portare avanti il progetto del film, pressioni che non solo non sortirono l’effetto desiderato, ma convinsero ancora di più l’artista della necessità di realizzarlo. Intenzionato a satireggiare uno dei più grandi parlatori del novecento, Chaplin dovette abbandonare la maschera di Charlot, che vive solo in piccola parte nella figura del barbiere ebreo, e iniziare ad aggiungere dialogo ai suoi film. L’andamento diegetico si articola in due vite separate, quella del barbiere e quella del dittatore, che non si incrociano mai e sono legate solo dalle conseguenze che le leggi del secondo hanno sulla vita del primo.

L’uomo ebreo con i baffetti, come detto una sorta di Charlot parlante e attempato, raccoglie in sé tutta la malinconia che nel corso degli anni si era vista nelle creazioni chapliniane. È un omino inconsapevolmente coraggioso, i cui occhi però riflettono la stanchezza e l’enorme disillusione di tutta una vita. La protagonista femminile interpretata da Paulette Goddard, è forse uno dei più bei ritratti femminili creati da Chaplin, una donna pronta a tutto e dotata di un’enorme energia interiore.

Chaplin teneva molto a questo personaggio, e non a caso gli diede il nome della madre. Tra gli altri spunti offerti dal film vi è sicuramente la grandissima interpretazione che il caratterista irlandese Jack Oakie diede di Mussolini, che nel film viene chiamato Napaloni. E sicuramente una della scene più riuscite è quella dove i due discutono di politica estera facendo volare torte per la stanza, e quando finiscono a bocca aperta a su un divano a causa dell’ingestione di troppa mostarda inglese.

Alla fine del film, il regista era incerto su due possibili conclusioni. La prima era una scena surreale, con i soldati intenti a ballare, improvvisatori di una danza scanzonata e pacifista, la seconda quella del discorso, dove il barbiere avrebbe parlato alla piazza.La situazione internazionale era precipitata, e Chaplin scelse la seconda opzione perché credeva che fosse il caso di parlare al mondo e comunicare al suo pubblico l’enorme errore che si sarebbe fatto nel seguire uno come Hitler. Era davvero convinto che un uomo come lui, dotato di milioni di ammiratori in tutto il mondo, avrebbe fatto riflettere.

All’epoca dei fatti la decisione fu senz’altro giustificabile, oggi però rimangono molti minuti ininterrotti di stampo umanitario, filantropico e pacifista, che si allontanano completamente dal contesto narrativo del film. È un sovrappiù, un’appendice eccessivamente ridondante e predicatoria, pur condivisibile nell’intento e negli ideali di base, che toglie punti all‘economia del film. Il Grande Dittatore sarebbe potuto essere un grandissimo film di Chaplin, forse il suo più bel capolavoro. La scena del balletto delle truppe, in mano a Chaplin, avrebbe raggiunto livelli espressivi altissimi. Chi scrive è convinto che avrebbe raggiunto vette evocative pari a quella della danza con il mappamondo, ricordata tuttora come simbolo non solo del film, ma della sua intera produzione. Il cinema non ha bisogno di parole e Chaplin ce lo aveva dimostrato fin dal 1914.

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Voto degli utenti: 10/10 in media su 5 voti.

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Peasyfloyd (ha votato 10 questo film) alle 17:22 del 26 gennaio 2010 ha scritto:

ottima recensione per uno dei maggiori capolavori di Chaplin, film dove come fai notare riesce a reinventarsi completamente a livello stilistico.

non condivido però il finale della tua rece. io trovo il discorso uno dei monologhi più appassionanti della storia del cinema. Un vero e proprio valore aggiunto che marchia in maniera sublime e indelebile l'opera

dalvans (ha votato 8 questo film) alle 15:26 del 2 novembre 2011 ha scritto:

Buono

Buon film

Slask (ha votato 10 questo film) alle 20:15 del 4 novembre 2011 ha scritto:

per me

è un film da 10. perfetto in tutto, sia nelle sue parti comiche, che nelle sue parti di satira, e, appunto, anche nel tanto discusso finale, che trovo brillantemente inserito come approdo finale della disamina di Chaplin sulla guerra e sulla dittatura.