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8/10

Hollywood Party regia di Blake Edwards

Commedia
recensione di Maurizio Pessione

 

Una comparsa indiana, dopo aver distrutto la scena di un film con le sue iniziative maldestre ed essere stata cacciata perciò in malo modo da quel che rimane del set, finisce per un equivoco, nella lista invitati ad un party dello stesso produttore hollywoodiano che però non lo conosce di persona e per non smentirsi, dalla sua entrata in villa, ne combina di tutti i colori, senza malizia, con naturalezza, quasi inconsapevolezza, ma con goffa infallibilità. Al termine della festa, che vede coinvolti vari personaggi, inclusa una compagnia di ballo russa ed un gruppo di hippies con un elefantino, resterà ben poco della casa originaria, fra situazioni comiche senza fine e l'innocente stupore, per primo, dello stesso protagonista, interpretato dal grande Peter Sellers.

 

Il regista Blake Edwards è deceduto recentemente all’età di 88 anni ed è una grave perdita per il cinema mondiale, anche se a quell’età non è che faccia stupore più di tanto. Ci sta, come dire, insomma… Tanto per dare un’idea, si tratta dell’autore che ha firmato capolavori del genere comico-brillante come La Pantera Rosa, Colazione Da Tiffany, Operazione Sottoveste, Victor Victoria e, appunto, Hollywood Party.

Peter Sellers, prematuramente scomparso a sua volta nel 1980, oltre ad essere stato uno degli attori preferiti di Blake Edwards,  è l’indispensabile protagonista di quest’opera, realizzata oltre 40 anni fa, che riesce a divertire ancora oggi per la genialità delle trovate, pur con un ritmo ed in un contesto inevitabilmente superati dallo stile della comicità odierna.

Hollywood party inizia con una sequenza che è passata alla storia del cinema. Quella che vede le riprese di un film saltare letteralmente per aria per colpa di una comparsa di origine indiana (Sellers appunto) che è talmente impacciata ed ingenuamente letale, da provocare addirittura l’esplosione di un castello un attimo prima dell’unica possibile ripresa e che, con la tromba in bocca, in precedenza, aveva rovinato un’altra ripresa eseguendo una sorta di tragicomico balletto in cima ad una collina mentre cercava, nella finzione, di mettere in guardia i soldati della sua guarnigione nel momento in cui venivano colti di sorpresa dai nemici in una gola. Per tacere il particolare che al braccio portava un orologio moderno che nulla aveva a che fare con l’ambientazione di quel film. Ovviamente viene cacciato in malo modo dal set e persino inseguito con furiose intenzioni dal malcapitato e disperato regista.

L’azione quindi si sposta dentro una sontuosa villa hollywoodiana dove un ex generale, ora produttore cinematografico, a seguito di un banale equivoco con la segretaria, invita Hrundi Bakshi, questo il nome della comparsa interpretata da Peter Sellers, ad un suo party con numerosi e prestigiosi ospiti. Quella che ne segue è una sorta di compendio della comicità del cinema muto trasposto però alla fine degli anni Sessanta. Si tratta di una satira sulla Hollywood snob, ricca ed opulenta, che Edwards conosceva molto bene evidentemente, e che mette a nudo contraddizioni e vizi, in chiave burlesca, ma in maniera così pungente, divertente e con continui colpi di scena da costringere lo spettatore ad una girandola di situazioni e risate, grazie alla fantasia degli autori che nel caso specifico sembra non conoscere limiti. Dall’arrivo di Bakshi con una originalissima e buffissima auto a tre ruote, all’entrata nella villa con una scarpa bianca sporca di fango che, nel goffo tentativio di pulirla, gli cade invece nel ruscelletto che scorre addirittura dentro di essa e tenta in tutti i modi di recuperare senza dare nell'occhio, sino al finale che sembra una sorta di… Zabriskie Point in chiave comica, con la villa praticamente devastata dopo una sequenza di situazioni, una più paradossale dell’altra ed alcune gags, una più bella dell’altra, esaltate dalla mimica ed il talento di Peter Sellers.

Che dire ad esempio della bellissima sequenza che lo vede alla ricerca disperatamente di un bagno per potersi liberare ed invece incorre in una sequela di incidenti, spassosissimi, per poi ritrovarsi in compagnia di una starlette di origine francese, che era arrivata alla festa per essere introdotta nell’ambiente dal suo agente ed aveva invece scoperto che quest’ultimo puntava solamente a portarsela a letto. Sellers, con i suoi modi garbati ma simpaticamente imbranati, riesce a farla smettere di piangere e con la sua naturale simpatia persino a divertirla e consolarla.

Qualcuno potrebbe persino suggerire, per via della maldestra incapacità ed i guai che sono capaci di provocare con regolarità, un parallelismo ardito, ma non del tutto azzardato, fra il personaggio interpretato da Peter Sellers e Fantozzi, se non fosse che laddove quest’ultimo è meschino e consapevole dei suoi limiti fisici e caratteriali, in quello di Bakshi invece c’è una incosciente naturalezza nella gestualità e persino nel portamento, una esiziale eleganza formale che esprime persino nei convenevoli, in ossequio alla sua cultura di origine, che lo rendono, in un certo modo, persino affascinante ed accattivante, come avveniva d’altronde anche per il famoso personaggio del giardiniere idiota e travisato invece per genio, da lui stesso interpretato, in Oltre Il Giardino di Hal Ashby.

Parlavo in precedenza di riferimenti al cinema muto, che sono evidenti, ad esempio, nelle sequenze del cameriere che gira fra gli ospiti con il vassoio delle bevande, finendo poi per tracannarle lui stesso e quindi, ubriaco fradicio, serve il pranzo combinandone una dietro l’altra con le sue maldestre azioni. Oppure nella parte finale, quando nella villa, anche a causa di terzi intervenuti nel frattempo (la figlia del generale con la sua compagnia di… benestanti contestatori; la banda dei ballerini russi ingaggiati dalla moglie dell’ex generale, che ridestano nel padrone di casa imbarazzanti e mai sopiti timori da guerra fredda), il party degenera in numerosi episodi grotteschi, cadute e ricadute dentro la piscina interna, o a seguito dell’inopportuno utilizzo delle diavolerie tecnologiche che fanno parte del corredo della villa, che farebbero ridere anche senza il supporto dell’audio.

Il finale è corale, con una esilarante escalation che inizia dall’entrata in scena di un elefantino, fra la sorpresa ed il terrore degli ospiti, pitturato con disegni e scritte pacifiste, che suscita il risentimento di Bakhsi, dato che in India è considerato animale sacro. Mentre alcuni di essi svengono, fuggono disordinatamente o finiscono in acqua, i giovani contestatori che hanno introdotto provocatoriamente nella villa il povero elefantino, democraticamente accettano di lavarlo e ripulirlo per restituirgli la sua naturale dignità. La gran quantità di sapone utilizzato allo scopo provoca però una montagna di bolle di sapone che invade la scena e gli spazi utili, mentre il padrone di casa, vista la mala parata, cerca di salvare i quadri più preziosi, pronunciando la famosa battuta, nel momento in cui gli comunicano che la moglie è caduta a sua volta in acqua per lo spavento: ‘…salvate almeno i gioielli!’ e l’orchestrina, come in una parodia del Titanic, continua a suonare, nonostante la schiuma stia oramai per sommergerla ed un tamburo sia stato sfondato da un calcinaccio.

Stiamo parlando di un film che ha oltre quarant'anni ed inevitabilmente traspaiono nella struttura comica, ma il divertimento, la fantasia, l’arguzia restano intatti per un’ora e mezzo di divertimento garantito grazie anche agli interpreti che, come si conviene alla migliore tradizione dei caratteristi del cinema americano, conoscono a menadito il loro mestiere.

 

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