R Recensione

6/10

Rock the Kasbah regia di Barry Levinson

Commedia
recensione di Giulia Betti

Ispirato a una storia vera, il film racconta le disavventure di Richie Vance (Bill Murray), manager musicale caduto in disgrazia, costretto a seguire il suo unico cliente per un tour in Afghanistan. Il manager si ritroverà solo, senza soldi e senza documenti a Kabul. La fortuna comincia a girare nel verso giusto quando inaspettatamente si imbatte nella straordinaria voce di Salima (Leem Lubany), una teenager Pashtun con il sogno di diventare la prima donna a partecipare a Afghan Star, versione locale della famosa trasmissione TV American Idol. Affiancato da una scaltra partner (Kate Hudson), un gruppo di speculatori di guerra (Danny McBride e Scott Caan) e un mercenario dal grilletto facile (Bruce Willis), Richie Lanz cercherà di scardinare i radicati pregiudizi della cultura afgana e fare della giovane donna una star di successo.

Partendo dal presupposto che Rock the Kasbah non sia un bel film (così, a chi interessa solo sapere se vale o meno la pena andarselo a vedere al cinema, può anche fermarsi qui e passare alla prossima recensione), mi sento in obbligo di dire che per capirlo fino in fondo risulta necessario buttare un occhio, non troppo disattento, al fenomeno Afghan Star e al documentario omonimo del 2009, per la regia di Havana Marking.

Con il primo dei due ci riferiamo al famosissimo show televisivo, del quale il giornalista Ken Auletta ha recentemente scritto nel New Yorker, usando le seguenti parole: “Ogni giovedì sera, circa un terzo degli afghani si riunisce davanti al televisore per guardare il programma. Nei villaggi rurali senza elettricità, la gente riempie i generatori di benzina o collega la TV alla batteria delle automobili. C’è stato anche un concorrente pashtun che, come Salima in Rock the Kasbah, si è trovato preso nel bel mezzo del conflitto tra le vecchie tradizioni e il nuovo mondo mediatico”. Il concorrente al quale probabilmente si riferisce Auletta è la famosa Satara Hussainzada, una giovane ballerina che partecipò alla terza edizione di Afghan Star esibendosi con un body e senza hijab. A causa di questa sua performance, la giovane pashtun ricevette minacce di morte e fu costretta a nascondersi e poi lasciare il paese. Salima, la protagonista femminile del film in questione, si scontra però con ben altro futuro. Indiscusse le accuse di alto tradimento alla religione, gli insulti del calibro di “peccatrice, prostituta, poco di buono, vergogna per la famiglia e per il paese” che suo padre, i suoi parenti e tutto il popolo le rivolge contro a causa del suo “sfidare” le tradizioni e la religione, ma certo è innegabile che la storia narrata per immagini (meno bene del previsto) dal premio Oscar Barry Levinson, sia una storia a lieto fine.

Il protagonista del film, Richie Lanz, interpretato da un Bill Murray bravo, ma non magnifico, è un manager di musica rock oramai sull’orlo del fallimento, che si ritrova ad organizzare un tour di una cantante di scarso talento in un luogo fatto di sacchi di sabbia, filo spinato, guardie armate ed armi, l’Afghanistan. La dilettante di cui sopra, che poi si darà alla fuga portando con se soldi e passaporto dello sciagurato talent scout acchiappafantasmi, è interpretata da una (come al solito) stralunata Zooey Deschanel che pare dare corpo ad un ipotetico alter ego di Jess, il suo famoso personaggio nella sitcom New Girl, la quale, come sapranno gli affazionati della serie, pur non essendo una grande cantante, ama impegnare la sua voce in lagnosi virtuosismi a cappella, ha paura delle situazioni estreme e affronta il pericolo con inadeguata impulsività.

Nel cast compaiono pure uno sprecato Bruce Willis (che dopo la pubblicità della Vodafone…) Kate Hudson, in un piatto e poco caratterizzato ruolo di prostituta, l’attrice palestinese di “OmarLeem Lubany, Taylor Kinney oltre a Danny McBride e Scott Caan, usati come si impiegherebbero due attori minori. Che gran spreco, mi vien da dire! Il vero spiacevole problema di questo film, risulta però essere l’apparente “fretta” di far avvenire le cose. Un’impazienza che pare essere la risposta irriflessiva ai sette anni di attesa da quando Mitch Glazer ha realizzato lo script a quando realmente è riuscito a metterlo in carreggiata.

Un venerdì l’ho dato a Billy (Murray), il giorno dopo mi ha chiamato e mi ha detto okay!” racconta lo sceneggiatore, credendo forse di sferrare un punto a vantaggio dell’opera, quando, a mio avviso, riesce solo a palesare la gran “foga” di fare. Una fretta che, come si dice proverbialmente, rischia di far partorire alla gatta, tanti cuccioletti ciechi. Non perfetti. Come non perfetto si manifesta il film di Levinson, il quale però, sornione e soddisfatto afferma: <<Abbiamo degli attori pashtun che recitano nel ruolo di pashtun. Parlano la propria lingua e danno un senso di verosimiglianza a tutta la situazione, contribuendo anche a creare lo humour che è una caratteristica intrinseca di questo film. È una commedia, ma senza toni spiccatamente farseschi. È una storia che ha bisogno di credibilità>>

Un punto a favore di quest’opera deludente è la colonna sonora, che conta nomi come i Deep Purple (Smoke on the water), Marcelo Zarvos (The four sacred bonds, Welcom to Afghanistan) Meredith Brooks (I’m a Bitch), Herry Nilsson (Jump into the fire) Isa Machine & LP (Torch) ed infine il vero protagonista del film, Yasuf Islam, meglio noto come Cat Stevens, il quale pur rispondendo inizialmente in maniera negativa alla richiesta di utilizzo dei suoi brani musicali, viene poi convinto a cedere i diritti da Glazer attraverso le di lui seguenti parole emozionate: “Credo che questo film abbia lo stesso scopo che hai tu con la tua musica. È un cavallo di Troia. Superficialmente è un film divertente e leggero, una commedia alla Murray, in realtà, però, racchiude un messaggio molto più profondo, un annuncio di pace e di tolleranza, di amore per la famiglia, per la musica, e di humour”.

Il responso? Ottimo cast e ottima musica  non riescono a salvare la faccia ad un NON ottimo film, ma ne rendono la fruizione comunque piacevole e nient’affatto superflua.

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