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R Recensione

4/10

Anatomy of a Paper Clip regia di Akira Ikeda

Commedia
recensione di Alessandro Giovannini

Kogure lavora come operaio in una piccolissima fabbrica di graffette (le paper clips del titolo) assieme a una manciata di colleghi operai; seviziato da un padrone insopportabile e schiavista, quotidianamente depredato da due piccoli gangster locali, avvelenato da una venditrice di un succo non correttamente preparato, Kogure subisce ogni tipo di angheria senza reagire, con la rassegnata pacatezza di un santo di fronte alla malvagità del mondo. Dopo aver liberato una farfalla rimasta intrappolata nel suo minuscolo appartamento, riceverà la visita di due misteriosi individui, un uomo e una donna che parlano un idioma incomprensibile, i quali si stabiliscono a casa sua e con i quali si instaura una specie di rapporto familiare.

Opera prima di Akira Ikeda dopo un paio di corti risalenti al 2008, presentato a Busan e Rotterdam, è un film intimo con pochi attori ed ancor meno location, quasi privo di trama e dai significati simbolici di non facile comprensione, debitori di un certo cinema metaforico incarnato dagli esperimenti del Takeshi Kitano di Takeshi's o del Akira Kurosawa di Sogni, di Ming-liang Tsai in generale e del David Lynch dei cortometraggi per il Web. Se la ripetizione di gesti e di luoghi coniugano esigenze di budget con intenti metaforici (la routine alienante della società contemporanea, ma anche la ieraticità dei rituali religiosi di cui Kogure sembra un monaco officiante) è vero che questa staticità sia da una lato presto noiosa nella sua (quasi) totale mancanza di siluppo narrativo, dall'altro tradisca la natura fittizia dell'operazione cinematografica, cioè rischi di abbattere la quarta parete e impedire la sospensione di incredulità: insomma appare evidente l'artificiosità del lavoro di montaggio con cui si alternano scene che sono state realizzate in blocco (prima tutte quelle in fabbrica, poi tutte quelle in casa, poi tutte quelle al ristorante...); non che sia un modo sbagliato di procedere, dato che al cinema i film si realizzano effettivamente così e sono pochissimi i casi in cui si gira segeundo l'ordine di sceneggiatura, ma in questo caso la tecnica è talmente palese da frenare l'empatia spettatoriale verso vicenda e protagonisti. Tantopiù che essi sono assolutamente privi di psicologia, più personae (cioè maschere, tipi) che personaggi. Non manca per fortuna un contrappunto umoristico nella sistematica vessazione del protagonista che rende almeno divertente una visione purtroppo superflua.

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