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4/10

Fuga di cervelli regia di Paolo Ruffini

Comico
recensione di Antonella Buzzi & Alice Grisa

Emilio, studente poco brillante di medicina e nerd dalla nascita, è innamorato senza speranza della bella Nadia, amica di sempre e compagna di studi. Quando la ragazza si trasferisce improvvisamente a Oxford per un progetto universitario, i folli e borderline amici di Emilio (Alfredo, Lebowski, Alonso e Franco) lo spingeranno a seguirla tutti insieme, falsificando i voti e rivoluzionando il campus inglese per coronare un autentico sogno d'amore.

Antonella Buzzi (voto 5):

L'opera prima di Paolo Ruffini - anche sceneggiatore e interprete del film - è il remake di Fuga de Cerebros, film spagnolo uscito nel 2009 e campione di incassi in patria.La pellicola italiana si contraddistingue per una serie di elementi positivi, che, tuttavia, non riescono a far venire alla luce l'originalità che il film vorrebbe esprimere nell'intenzione dell'autore, ovvero quella di riallacciarsi al filone di una serie di film comici americani, come Animal House e American Pie, e ad un filone più recente del cinema francese, inaugurato da Quasi amici.  

Per quanto riguarda gli elementi positivi, è da lodare la scelta di un cast giovane e affiatato, la cui complicità emerge limpidamente sullo schermo. Nessuno dei cinque protagonisti è una «primadonna», che tende a concentrare unicamente su di sé l'attenzione dello spettatore, ma ognuno riesce ad essere parte dell'insieme e contemporaneamente a ritagliarsi il proprio spazio in cui emerge l'individualità rappresentata dal proprio personaggio.

La storia raccontata è una storia «giovane», appartenente ad una generazione che oramai viaggia in Europa senza dover travalicare frontiere, che riesce ad ambientarsi in un'università straniera senza troppe difficoltà, nonostante le differenze di lingue e tradizioni.Come anticipato, si deve purtroppo prendere atto che le buone intenzioni risultano complessivamente oscurate da una serie di elementi negativi che riducono notevolmente la novità di cui il film vorrebbe farsi traghettatore.Sia la scrittura che la regia, infatti, sono assimilabili ad un film di Neri Parenti; le situazioni comiche rappresentate e le battute messe in bocca ai vari personaggi sono degne dell'italianità più becera ed ignorante e rendono fine Fuga di cervelli un cinepanettone a tutti gli effetti, un Natale a Miami un po' più giovanile.La presa di coscienza finale arriva, inoltre, decisamente troppo tardi perché il film possa riuscire davvero a proporre una riflessione seria ed essere assimilato ad altre pellicole che «scherzano» sulla disabilità come Quasi amici.

Fuga di cervelli si rivela, dunque, un film su cui si sarebbe potuto investire di più; si è scelto, invece, di appiattirsi su situazioni comiche già sperimentate da altri, sulle quali, a quanto pare, il cinema italiano ha da un po' di tempo scelto di arroccarsi.

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Alice Grisa (voto 4):

Groucho Marx diceva "Citatemi dicendo che sono stato citato male". Applicare questo a Fuga di cervelli apparirebbe troppo radical chic (seppur in base ai modelli di cinema che dichiara di avere il regista) ma d'altra parte non è neanche possibile dire che il cinema italiano si arricchisca di stimoli con questo (non)comico-demenziale-dramma sociale diretto dall'ex veejay e attuale conduttore di Colorado Paolo Ruffini. L'unico modo per salvare questa bruttissima copia della torta di American Pie sarebbe trasformarla in un film drammatico, il che appare in contraddizione con le promesse comiche del trailer e di tutto il rutilante merchandising (a partire dalle t-shirt rosse ottimismo). Il genere demenziale-slapstick, che conserva il proprio DNA nel cinema americano, dai capolavori di Buster Keaton fino ad arrivare ad Animal House, Porky's, la saga American Pie, il filone di Jim Carrey e gli ultimi ibridi di Judd Apatow, è difficile da impiantare in un contesto culturale come quello italiano che non riesce a essere nonsense e autoreferenziale fino in fondo ma deve sempre e necessariamente appiccicare un sottotesto morale.

Fuga di cervelli parte dall'idea non originale (il film spagnolo Fuga de cerebros, di cui la Colorado ha acquistato i diritti) di ribaltare in chiave ironica il luogo comune degli italiani che vanno all'estero per approfittare delle opportunità maggiori di istruzione e lavoro. In questo caso a Oxford vanno cinque reietti dell'università  e della società allo scopo di inseguire la ragazza (bella e studiosa) amata da uno di questi. Ruffini parla di "esportare la sensibilità  italiana al posto delle doti intellettive" ma la maggior parte delle scene va a inseguire un accumulo di gag che non fanno ridere, che non hanno senso (privi anche della piacevolezza surreale che caratterizza altri prodotti) e che provocano un vago senso di disagio. Una regola drammaturgica è che l'accumulo di situazioni drammatiche porta a invertire il segno algebrico dell'opera e trasformarla in (in)volontaria comicità; oppure nel genere grottesco; oppure ancora nel melodramma, ma qui non siamo di fronte a nessuna di queste cose. L'impressione è quella dell'esagerazione, come la scena dell'obitorio o l'accanimento di incidenti che capitano ai due disabili, farse pesanti ereditate dalla scuola di Alvaro Vitali e caratteristiche dei b-movie (ma quelli almeno facevano ridere!), nonchè concentrate sempre sui soliti argomenti. Poi ci sono tantissime discordanze: non tanto di setting (Torino può anche fare Oxford per una volta), quanto di personaggi: se sono amici d'infanzia perchè l'unico che parla toscano è Ruffini? Perchè sono così eccessivamente caratterizzati e delineati (Alonso, Lebowski, Alfredo; quest'ultimo nome verrà da Nuovo cinema Paradiso?) ancora prima che siano le loro azioni a definirli? Perchè hanno tutti dialetti diversi e la protagonista femminile è doppiata in modo artificioso, tale da sottolineare ancora di più la sua non-italianità? Eppure l'unica cosa che si potrebbe salvare è proprio il rapporto dello sfigato protagonista con Nadia, nonchè la sua ascesa da "spazzatura" (come lui stesso si definisce) a uomo forte, coerente e soprattutto tenace. Un caso raramente meritocratico, quello di Emilio, in cui la perseveranza e la fiducia portano a un risultato che ripaga i decenni di invisibilità e sfortuna. Però non basta: in un film del genere bisognava lavorare sulla comicità, in particolare sui tempi, sulla struttura della gag. Richiede tempo, dedizione e perfezionismo ispirarsi ad un'opera creativamente divertente come Una notte da leoni, altro esempio dichiaratamente di riferimento. In quel caso tutto funzionava alla perfezione, qui invece il ritmo si accartoccia tra la noia per le battute così televisivamente telefonate e un senso di pena per dei ragazzi che alla fine si appoggiano l'uno all'altro per fronteggiare la comune disperazione.

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Voto degli utenti: 2,7/10 in media su 3 voti.
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B-B-B 4/10

C Commenti

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Marco_Biasio alle 12:19 del 15 novembre 2014 ha scritto:

Non ho mai visto una locandina più demenziale di questa. Difficile aspettarsi qualcosa di diverso da quel cerebroleso di Ruffini.