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7/10

The Voices regia di Marjane Satrapi/ Vincent Parronaud

Black Comedy
recensione di Fulvia Massimi

In cura da una psichiatra (Jacki Weaver) per i traumi di un oscuro passato, l’ingenuo ma socievole Jerry Hickfang (Ryan Reynolds) lavora per una ditta di forniture per il bagno nella tranquilla (e fittizia) cittadina industriale di Milton. A tenergli compagnia nei momenti di solitudine sono il fedele cane Bosco e il diabolico gatto Mr. Whiskers (entrambi doppiati dallo stesso Reynolds). Quando Jerry commette, per sbaglio, un omicidio, saranno proprio gli amici a quattro zampe – e la sospensione degli psicofarmaci – a gettarlo nel baratro di una rapsodica follia assassina, che porterà alla luce memorie a lungo sepolte e getterà la città nel caos.

Non avrebbe sfigurato accanto a Tusk di Kevin Smith nella selezione per la midnight madness torontiana, soprattutto considerato il sottotesto zoofilo di entrambi i film e la rivalutazione attoriale del canadese Ryan Reynolds, che non riceveva giudizi positivi dalla critica forse dai tempi del claustrofobico Buried(2010), e a cui certo non aveva giovato la recente debacle di Atom Egoyan e del suo The Captive.

The Voices – quarto film diretto da Marjane Satrapi ma primo in lingua inglese per la regista-illustratrice iraniana candidata all’Oscar con Persepolis - non ha infatti nulla da invidiare alla follia bestiale dell’horror smithiano, ma anzichè condire il proprio delirio con cliché culturali e personaggi-macchietta tutt’altro che divertenti, sfodera piuttosto un mix ben shakerato di humour nerissimo, tinte pastello, derive musical e interpretazioni (umane e non) sopra le righe, che dal realismo magico satrapiano prendono spunto per trasformarlo poi in totale surrealismo.

Dopo aver raccontato l’Iran autobiografico attraverso il filtro del graphic novel (auto)ironico in Persepolis, e aver portato sullo schermo la lenta ed esoterica parabola suicida del violinista Nasser-Ali Khan (Mathieu Amalric) nel commuovente Pollo alle Prugne, Satrapi riemerge dalla parentesi semi-sconosciuta de La bande des jotas (scritto, diretto e interpretato ma praticamente ignoto ai più) per girare il suo primo film americano, tuttavia interamente realizzato nel celebre Studio Babelsberg di Potsdam con le scenografie “pop-pulp” di Udo Kramer.

È allora in uno degli studi cinematografici più antichi del mondo che la magia disturbante di The Voices prende vita, e non certo a Hollywood, dove i soli elogi alla follia possibili sono quelli del David O. Russell de Il Lato Positivo. Satrapi affronta l’allucinata sceneggiatura di Michael R. Perry con il consueto piglio sarcastico, esplorando i meandri della schizofrenia edipica e dell’alienazione industriale in un ibrido di serio e faceto, che alla comicità paradossale delle interazioni cross-specie oppone la tragicità dello sdoppiamento psicologico, che è poi anche sdoppiamento visivo in termini cinematografici.

L’estetica ripulita e in qualche modo burtoniana (ma del Tim Burton di Edward mani di forbice) della falsata percezione di Jerry (tutta angeli e farfalle in CG) collide infatti con la realtà squallida e terrificante del suo habitat à la American Psycho, dove la fotografia di Maxime Alexandre – aiutato dal background horror della propria carriera (ha esordito, non ha caso, con Alta Tensione) –interviene a costruire due dimensioni parallele ma appunto opposte, in quanto destinate a non incrociarsi mai. È solo attraverso l’intervento esterno di personaggi mentalmente stabili (la collega Anna Kendrick, la psichiatra Jacki Weaver) e degli sprazzi di effimera lucidità dello stesso protagonista che allo spettatore viene fornita una chiave d’accesso al mondo reale, e non solo interiore, di Jerry.

Satrapi getta uno sguardo divertito ma al tempo stesso compassionevole e senza dubbio inquieto sulle conseguenze della psicopatologia lasciata a se stessa, e sugli effetti della motonia provinciale così come della violenza famigliare e dell’incertezza dei ruoli di genere sul protagonista maschile. La performance di Reynolds, che si sdoppia e triplica sfoderando un esilarante accento scozzese e una predisposizione al doppiaggio comico già sfoggiata ne I Croods, è in questo senso fondamentale per tratteggiare il collasso psicologico del maschio in crisi identitaria, in un contesto in cui sono le donne (Anna Kendrick, Gemma ArtertonElla Smith) a far la parte del leone, perfino quando sono ridotte ad una testa senza corpo.

Il conflitto edipico giace allora alla base di tutti i mali di Jerry, che affida ai compagni felini e canini la responsabilità delle proprie malefatte, utilizzando il regno animale come metafora di quello umano, ma anche come filtro per le derive della propria insanità. L’animale parlante, proiezione maligna delle umane pulsioni anzichè coscienza, si erge a totem simbolico prima ancora che a strumento di comicità (anche se è proprio a Mr. Whiskers che si deve il grosso delle risate), e anzichè sfociare nel ridicolo porta piuttosto a riflettere sulle molteplici sfaccettature della malattia mentale, cui Satrapi si accosta con ironia pulp (fin dai titoli di testa a cartoon) ma anche, infine, con discreta serietà biblica.

Influenzato, per effetto comico, dagli stilemi del musical, The Voices si apre sulle musiche composte ad hoc dall’immancabile Olivier Bernet e si chiude con un’insolita versione “paradisiaca” di Sing a Happy Song degli O’Jaysinterpretata dallo stesso cast, ulteriore testimonianza del rifiuto del film a prendersi troppo sul serio (in caso il clone cinese di Elvis e il karate da ristorante non fossero bastati). In bilico tra fiaba nera, cheap horror e satira della psicopatia americana, The Voices è allora un film certamente bizzarro ma simpatico, che ha intenzione di offrire allo spettatore bendisposto l’occasione di un divertimento macabro ma non stupido, e a Marjane Satrapi l’opportunità di prendersi una pausa dalle aspettative del proprio cinema, senza tuttavia lasciarle completamente da parte.

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