Terrence Malick
Da esponente borderline della New Hollywood a figura messianica del cinema. All’insegna di un pluridecennale silenzio che – dove finisce l’autentica timidezza e dove inizia la posa non lo si saprà probabilmente mai – affascina alcuni e irrita altri. Uno status semidivino che la Palma d’Oro 2011, con tanto di foto resa pubblica pochi giorni dopo la premiazione, non ha fatto che accrescere a dismisura.
Non è artista da facili compromessi, Terrence Malick. Non solo avverso a manifestazioni e dichiarazioni pubbliche (le due sole interviste conosciute, rilasciate a Beverly Walker e Michel Ciment, risalgono al 1975, ed è noto il suo rifiuto categorico di essere fotografato o ripreso, tanto che girano pochissime sue immagini; l’ultima è appunto quella “rubata” a fine proiezione di The Tree of Life, abbracciato a Brad Pitt), ma anche artista dalla notevolissima parchezza creativa, cinque film in trentotto anni.
Sono caratteristiche, queste, che hanno accresciuto lo status di culto del regista, spesso accostato per questo ad un altro grande “silenzioso”, Stanley Kubrick, senza però che quest’ultimo abbia mai raggiunto simili picchi di privazione del proprio nome (e senza che i due si assomiglino). Di fatto Malick è in questo unico nel panorama cinematografico mondiale, se si escludono nomi di nicchia, come quello di Yuri Norstein, idolatrato e “mitico” animatore russo che ha all’attivo, in più di quarant’anni di carriera, la miseria di sei cortometraggi diretti e che è alle prese con il suo primo lungometraggio, la trasposizione de Il Cappotto di Gogol, dal 1981.
Nome e cinema tanto divinizzati, quelli di Malick, non solo per la superba qualità dei film, ma anche per un motivo di cristallina ed empirica semplicità: del Malick uomo si sa pochissimo.
Le informazioni riguardanti la sua vita sono scarse e non sempre sicure. Di certo nasce, primo di tre figli, il 30 novembre 1943 a Waco in Texas da madre di origine irlandese e padre libanese, di professione geologo (nucleo familiare che rende chiaro come la sua ultima fatica cinematografica, The Tree of Life, sia autobiografica). Trasferitosi ad Austin, frequenta la Episcopalian School e, nel 1961, si iscrive a Harvard, dove nel 1966 ottiene la laurea in filosofia. Dopo aver partecipato ad un dottorato (mai terminato) ad Oxford, Malick inizia un periodo di collaborazione con testate come “Newsweeker” in Inghilterra e, una volta tornato negli States, “Life” e “The New Yorker”. Passione, quella giornalistica, che dura poco, tanto che già nel 1968 Malick torna alla filosofia, insegnando al Massachusetts Institute of Technology. Anche questa strada mal soddisfa però il giovane Malick, che dopo un solo anno accademico abbandona l’insegnamento, non ritenendosi all’altezza del compito.
È così nel 1969 che Terrence Malick e il cinema s’incrociano. Il futuro regista scopre infatti che l’AFI (American Film Institute) apre candidature per corsi biennali e così s’iscrive. Sono i due anni di formazione di Malick, che debutta alla regia con il cortometraggio Lanton Mills (ad oggi irreperibile per una clausola inclusa nel contratto stipulato dall’AFI che ne impedisce la proiezione) e che collabora a diverse sceneggiature, quali Yellow 33 (debutto alla regia di Jack Nicholson), Ispettore Callaghan: il caso Scorpio è tuo! (in coppia con John Milius), Deadhead Miles, Gravy Train, Per una manciata di soldi. Tutte collaborazioni non accreditate e/o sfortunate, più utili a Malick per il suo percorso verso il grande salto professionale e artistico che a noi nel rintracciare stilemi del suo cinema che sarà.
Esordio alla regia che avverrà poco dopo, nel 1973 con La Rabbia Giovane (Badlands), e che proseguirà cinque anni dopo con I Giorni del Cielo (Days of Heaven), prima che la sua produzione si fermi per il celebre, ventennale periodo sabbatico (il discorso è in realtà più complesso, come vedremo), interrotto nel 1998 con La Sottile Linea Rossa (The Thin Red Line), forse il suo film più amato, nel 2005 con The New World e ora con The Tree of Life.
Grazie al suo cinema di poca fruibilità ma di straordinario lirismo (e a sé stante all’interno della storia del cinema, senza particolari influenze e senza grandi proseliti; si può anzi dire che i suoi film si disinteressino della storia del cinema, sono opere che non richiedono che sé stesse), Malick è sempre stato molto amato dalla critica e non sempre ben visto dal pubblico (non è raro trovare commenti di sbeffeggiamento verso il voice-over, il tratto più caratteristico e riconoscibile del cineasta statunitense).
Ma non si può dire che sia un artista incompreso, Malick: con soli cinque film ha vinto numerosi premi di prestigio, tra cui il premio come miglior regista a Cannes e l’Oscar per la miglior fotografia per I Giorni del Cielo, l’Orso d’Oro per La Sottile Linea Rossa e, ovviamente, la recentissima Palma d’Oro per The Tree of Life.
Eppure, proprio come le immagini free form del suo ultimo capolavoro, il demiurgo Malick e le sue creazioni sembrano non appartenerci, visioni superiori di cui possiamo “usufruire” ma che non possiamo “possedere”.
Come solo i sommi artisti sanno fare, Malick ci indica una via: spetta a noi saperla percorrere.
FILMOGRAFIA
1969 Lanton Mills
1973 La Rabbia Giovane (Badlands)
1978 I Giorni del Cielo (Days of Heaven)
1998 La Sottile Linea Rossa (The Thin Red Line)
2005 The New World
2011 The Tree Of Life
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