A Un ricordo di Luciano Vincenzoni

Un ricordo di Luciano Vincenzoni

Ci lascia Luciano Vincenzoni (Treviso, 1926), morto a Roma la notte di domenica 22 settembre. Tra i migliori sceneggiatori del nostro cinema, oltre a felici incursioni nei vari generi ne ha accompagnato il passaggio dalla fase del neorealismo a quella della commedia all’italiana, riuscendo al riguardo a far convivere come pochi nelle sue scritture intuizione, abilità d’osservazione e capacità visionaria, col risultato di uno sfaccettato ritratto della vita di provincia e la cultura di cui questa si alimentava, fra antichi retaggi e novità in dirittura d’arrivo.

Il suo debutto risale al 1954, quando scrisse un soggetto da cui venne tratta la sceneggiatura della commedia Hanno rubato un tram (opera di Mario Bonnard, Ruggero Maccari ed Aldo Fabrizi, anche regista ed interprete), mentre appena due anni più tardi iniziò a lavorare con Pietro Germi ed insieme ad Alfredo Giannetti diede vita a Il ferroviere: una collaborazione quella tra Vincenzoni e il regista genovese che s’interruppe bruscamente dopo una lite, per poi riprendere negli anni ’60, quando i due fondarono la società RPA e con Age & Scarpelli realizzarono nel ‘64 il feroce Sedotta e abbandonata, grottesco apologo morale con location siciliana, pamphlet volto a scardinare retrograde mentalità. Un film molto più duro ed impietoso rispetto al precedente Divorzio all’italiana (’61), anch’esso ambientato in Sicilia, e che va a costituire insieme a Signore & signori, ’66, i cui protagonisti appartengono il mondo della provincia del Nord-Est italico, un’ideale trilogia. Anche qui non vengono concessi sconti a nessuno, dando vita ad un’acre farsa che è tra le opere più complesse e complete tanto di Germi che di Vincenzoni.

Ma vi è un film in particolare di Vincenzoni che non va assolutamente dimenticato, ed è La grande guerra, scritto nel ‘59 insieme ad Age & Scarpelli e al regista Mario Monicelli, dove si affronta il tema della Prima Guerra Mondiale senza alcuna retorica: nessuna celebrazione d’ intrepidi eroi, protagonista è la gente comune, mandata a morire in condizioni miserevoli.

Lo si nota già dai titoli di testa, con immagini in primo piano di scarponi immersi nel fango, del rancio, delle sigarette preparate con avanzi di tabacco, delle lettere da casa, dettagli che evidenziano la scelta di narrare la guerra dal punto di vista della trincea. Le grandi interpretazioni di Alberto Sordi e Vittorio Gassman, così come quelle offerte dall’intero cast, l’uso del cinemascope, il dispiego di grandi masse, l’accurata ricostruzione storica, ne fanno un’opera spettacolare e un coinvolgente affresco corale. Il film ottenne il Leone d’oro alla 20ma Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia nel ’59, ex aequo con Il generale Della Rovere di Roberto Rossellini.

La grande guerra può vantare inoltre una sorta di remake in chiave western, perché gli stessi sceneggiatori (cui si aggiunse Sergio Donati) sulla base di quella originaria scrittura diedero vita nel ‘66 al terzo capitolo della Trilogia del dollaro di Sergio Leone, Il buono, il brutto e il cattivo: complice la precisa ed accurata ricostruzione storica, la violenza assume toni parossistici e meno surreali rispetto al consueto standard leoniano, si ritrova quella commistione fra toni epici, commedia e riflessione che mette in risalto i lati più grotteschi, tragici ed assurdi di ogni conflitto e si punta sui toni della farsa e della beffa. D’altronde Vincenzoni un anno prima aveva già scritto con Leone Per qualche dollaro in più, prediligendo rispetto al capostipite Per un pugno di dollari una narrazione più asciutta, lineare e tesa, attenta all’approfondimento psicologico dei personaggi principali, unendo all’atmosfera da west di frontiera i toni da commedia del cinema italiano.

Ultima collaborazione di Vincenzoni col regista romano fu Giù la testa, ’71, scritto insieme a Donati, visivamente affascinante ma forse un po’ troppo verboso nei dialoghi. A testimonianza del suo eclettismo vanno menzionate altre scorribande nei vari generi, ora con tendenze innovative (come la commedia volta al giallo Crimen, ’60, Mario Camerini, o la denuncia sociale espressa ne La cuccagna, ’64, Luciano Salce), ora meno incisive (Gli eroi, ’73, Duccio Tessari), le collaborazioni con Carlo Lizzani (Il gobbo,’60; Roma bene, ’71) ed Elio Petri (Un tranquillo posto di campagna, ‘68), mantenendo sempre una certa vitalità inventiva tra gli anni ‘70 (Piedone lo sbirro, ‘73, e La poliziotta, ’74, entrambi di Steno) ed ’80 (Il conte Tacchia, ’82, Sergio Corbucci; Casablanca, Casablanca, ’85, Francesco Nuti), con qualche incursione anche in film americani come L’orca assassina (Orca, ’77, Michael Anderson) o Codice Magnum (Raw Deal, ’86, John Irvin). Giuseppe Tornatore nel 2000 ricavò da un vecchio soggetto di Vincenzoni il plot di Malena, da considerarsi quindi come l’ultimo lavoro di uno sceneggiatore capace di credere sino in fondo ad un certo tipo di cinema, che faceva leva su di una scrittura scaturente da un attenta visione della realtà, lungimirante e dai toni tanto amaramente cinici quanto straordinariamente veri, senza alcun compiacimento di sorta.

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