A Sapere, osare, volere, tacere - Alejandro Jodorowski

Sapere, osare, volere, tacere - Alejandro Jodorowski

 

Alejandro Jodorowski  è un regista che fa delle invenzioni provocatorie e dei simbolismi l’essenza del suo cinema. Risulta inutile e riduttivo perdersi nell'interpretazione delle scene rappresentate perché si verrebbe divorati da un mondo totalmente privo di nessi logici e si perderebbe la ricchezza espressiva delle sue opere. Jodorowski è infatti inventiva allo stato puro  e fa propria un’arte basata sull’esaltazione personale dei sensi e dell’incompletezza dell’essere umano di fronte alle cose.

La montagna sacra è un’opera che inizialmente sembra voler rimandare a Tarkowskij in Stalker o Kubrick in 2001- Odissea nello spazio con alcuni “scienziati” che cercano di andare alla scoperta di qualcosa di inaccessibile per gli altri esseri umani. Ma se per i due famosi registi citati il viaggio era un espediente per ricercare i significati profondi dell’esistenza, per Jodorowski il tutto si sintetizza in una grande e beffarda illusione in cui il tutto si conclude con una risata del regista e con la messa in mostra delle macchine da presa. In quest’opera i saggi sono coloro i quali vengono ingannati e sono le persone che vengono ingannate, dimostrando di sapere ancora meno degli altri per quel che riguarda il percorso di vita di ogni individuo. Ci si può chiedere cosa deve fare l’uomo per comprendere il senso della propria esistenza e per raggiungere la felicità completa, ma Jodorowski è fermamente convinto della differenza del senso della vita per ogni individuo che può essere compreso nel modo più vario possibile. Con El topo infatti viene mostrato l’eroe dopo l’impresa in un western surrealista che riesce ad andare oltre Dalì e la religione. El topo è un seguito di Kill Bill venticinque anni prima dell’originale, ed è la dimostrazione di come non sempre il fine delle nostre azioni giustifichi i mezzi. Il protagonista dell’opera compie infatti un percorso unico che lo porta a ritrovarsi in mezzo a un popolo ucciso e sterminato per il quale compie una tormentata vendetta uccidendo i quattro eroi, salvo poi ritrovarsi in balia dell’altro sesso: i due personaggi femminili di El topo  sono infatti estremamente significativi nella loro rivalità mista a passione omosessuale che li porterà ad uccidere il personaggio interpretato da Jodorowski e allo stesso tempo alla loro autodistruzione.  La bellezza nella donna è perversione,  mentre l’amore inteso come essenza del sentimento viene mostrato solo nei confronti della povera nana, con la quale il protagonista sembra avere trovato la sua serenità, prima di essere ammazzato dal proprio figlio. Sono chiari i riferimenti a Leone, Corbucci e a Pechinpah che si incrociano in un percorso mistico, tortuoso e barocco che ci danno un’idea decisamente singolare di felicità poiché il protagonista trova la sua redenzione nella difesa della causa di alcuni personaggi con handicap fisici rinchiusi in una grotta e vive gli unici momenti di autentica gioia non compiendo gesti eroici ma facendo lavori umili e pulendo escrementi di cavalli, a testimonianza della diversità di ogni essere umano nella ricerca della felicità; per il protagonista di El topo la morte è un fatto quasi irrilevante che avviene dopo aver superato gli spari dei cittadini,  i quali avevano ucciso i ragazzi abitanti nella grotta che volevano raggiungere la città; dopo essersi dimostrato più forte di loro il personaggio interpretato dal regista sceglie di darsi fuoco di fronte al nulla rimasto intorno a lui, che ricorda il suo arrivo ad inizio film nel villaggio dove c’ era appena stata una carneficina.

Negli artifizi presenti nei suoi vari film Jodorowski sembra avere come unica certezza l’idea della reincarnazione di sé stessi e della propria famiglia. Non a caso due fra i suoi libri più famosi, Quando Teresa si arrabbiò con Dio  e La danza della realtà sono basati su una storia familiare in cui sembra esserci sempre un filo conduttore genetico tra i vari personaggi che si succedono. Anche in Santa Sangre si ripercorre questo tema, in particolare nella descrizione di Felix: questo personaggio è pesantemente ossessionato dalla figura materna rimasta senza braccia e che utilizza gli arti del figlio per compiere i delitti più atroci. Jodorowski sceglie un finale positivo con il protagonista che riesce ad uccidere la figura materna ritrovando la ragazza sordomuta di cui era segretamente innamorato da piccolo. Solo l’amore permette infatti a Felix di comprendere che la figura materna in realtà era morta e che gli atti compiuti dipendevano esclusivamente dall’immagine che il ragazzo si era creato in un’inquietante interiorizzazione; il fatto che egli non riesca ad uccidere la ragazza di cui era invaghito può essere visto come una rappresentazione pratica della psicomagia, forma d’arte terapeutica di Jodorowski che si basa sul compiere un gesto di notevole impatto emotivo per superare un trauma estremamente condizionante. È indubbiamente paradossale il fatto che la conquista della libertà per Felix sia la possibilità di alzare le mani  di fronte alla polizia nel momento in cui viene arrestato per tutti gli omicidi commessi. Anche ne Il paese incantato la storia dei due protagonisti Fando e Lis è condizionata dai vissuti traumatici con i rispettivi genitori ed è estremamente significativo da questo punto di vista il parto degli uccelli effettuato dai genitori di Fando. La presenza di volatili è un tratto comune nei film di Jodorowski poiché ritorna sia nella risalita dei saggi ne La montagna sacra  che nei vari duelli di El topo. Altro elemento spesso presente nelle opere del cineasta cileno è la scelta di un ruolo rilevante per personaggi con menomazioni fisiche che accompagnano i diversi protagonisti nel loro percorso. Oltre alla già citata ragazza di Santa sangre e agli abitanti della gotta di El topo anche la protagonista femminile de Il paese incantato è paralitica, ed assieme al bipolare Fando parte alla ricerca di un paese immaginario. I due personaggi sono contrapposti in alcuni elementi come il fatto che Fando abbia uno strapotere fisico ma sia frenato da una serie di traumi che gli impediscono di trovare in sé stesso la serenità che cerca nel suo pellegrinaggio verso Tar mentre Lis appare assolutamente serena nonostante la solitudine e le umiliazioni a cui viene sottoposta. In questa sua prima opera il cineasta cileno raggiunge probabilmente l’apice per quel che riguarda l’eccentricità delle scene mostrate, anche se tutti i suoi film rimangono fortemente caratterizzati da stranezze e artifizi narrativi fantasiosi,  come l’alternanza di scene particolarmente truci utilizzando musica allegra o colpi di scena che eliminano il filo logico creatosi. Jodorowski è un prestigiatore che non pone limiti alla creatività: come un bambino con una nuova costruzione, si diverte a creare una realtà e a distruggerla con modalità narrative totalmente innovative ed eccessive. Ogni inquadratura ha una tale abbondanza di particolari sconvolgenti che meriterebbe di essere approfondita perché potrebbe rappresentare l’apice emotivo di qualsiasi altro film e lo spettatore si trova in balia di una sana ingordigia di idee, come se la propria logica subisse una mitragliata di elettricità visiva. Indubbiamente i significati si perdono dietro questa eccessiva grande illusione ed è più che legittimo chiedersi dove vogliano arrivare le sue continue provocazioni ma un suo film è una lotta che vale la pena combattere contro ogni tipo di schema mentale.

 

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