A Paolo Sorrentino - Monografia

Paolo Sorrentino - Monografia

La cosa peggiore che può capitare ad un uomo che trascorre molto tempo da solo è quella di non avere immaginazione. La vita, già di per sè noiosa e ripetitiva, diventa in mancanza di fantasia uno spettacolo mortale.

(P. Sorrentino – Le conseguenze dell’amore)

Paolo Sorrentino è uno dei registi italiani della nuova generazione più conosciuti e apprezzati a livello internazionale. Le sue opere hanno raggiunto una certa notorietà anche all’estero, in particolare con Il divo (2008), presentato al festival di Cannes e con This must be the place (2011) che ha permesso al regista napoletano di lavorare con Sean Penn, uno dei più grandi attori contemporanei, che ne ha riconosciuto le grandissime qualità. Sorrentino è riuscito a realizzare lungometraggi estremamente validi sia dal punto di vista tecnico, con inquadrature sempre studiate alla perfezione, e contenutistico narrando storie sempre significative soprattutto dal punto di vista antropologico.

Un tratto comune di quasi tutti i protagonisti dei film di Sorrentino è il ritrovarsi a un punto morto della propria vita con un più o meno consapevole atteggiamento di indifferenza verso gli eventi del mondo che fa loro da scudo per evitare qualsiasi tipo di sofferenza. Questo è particolarmente evidente nei personaggi di tre opere, Le conseguenze dell’amore (2004), This must be the place e La grande bellezza: tutti e tre questi personaggi convivono con una zona d’ombra che non condividono con nessuno, dettata da traumi sentimentali non metabolizzati o da rimorsi di coscienza. Sono personaggi estremamente moderni nella gestione dell’emotività, talmente abituati a sublimare ogni cosa e a soffrire in silenzio da non rendersene quasi più conto; essi rispondono in modo stereotipato a tutto ciò che accade nelle loro vite estremamente monotone e fanno in modo di evitare qualsiasi imprevisto in grado di mettere in discussione la loro corazza. Per tutti però arriva il momento di fare i conti con sé stessi e con il proprio percorso di vita come accade per il protagonista de Le conseguenze dell’amore Titta Di Girolamo, uomo estremamente singolare nella sua obbligata parvenza di individuo qualunque, con un rigore metodico sia per quel che riguarda il delicato ruolo ricoperto per Cosa Nostra che nella gestione dei propri vizi che gli permettono di sopravvivere senza farsi troppo del male. Sarà una donna a scombussolare l’esistenza di Titta il quale, pur “non sottovalutando le conseguenze dell’amore”, si sentirà per una volta vivo proprio vicino alla sua fine trovando qualcuno per cui vale la pena rischiare e mettere a repentaglio la propria esistenza. L’attempata e ipersensibile rock star Cheyenne in This must be the place è invece un adolescente nel corpo di un uomo, in un inquietante staticità che l’ha fatto rimanere fermo per vent’anni alle posizioni massimaliste di quando era uno pseudo artista che faceva canzonette depressive per teenagers soprattutto per compiacersi; il fatto che alcuni suoi fan le abbiano prese talmente sul serio da sceglierle come colonna sonora del proprio suicidio lo fa cadere in un immobilismo depressivo in una casa che rappresenta nel modo più degno possibile il nulla, circondato dall’affetto della moglie, che nella sua operosità basa la propria vita nell’accudire Cheyenne come se fosse il figlio che non hanno. Il personaggio interpretato da Sean Penn riuscirà finalmente a fare tutti i conti con il passato e a compiere il passo che lo fa diventare uomo con un improvviso viaggio per tutti gli Stati Uniti, perfetta metafora di un percorso interiore che freudianamente ha il suo culmine nell’uccisione del nazista che aveva ammazzato suo padre. Cheyenne diventerà così finalmente adulto, rinunciando al patetico look da rock star e attuando un processo di cambiamento che ha la sua ideale conclusione nella sigaretta fumata sul porto, vero e proprio rito di iniziazione a una vera età adulta. Più complesso è invece il cambiamento di Jep Gambardella ne La grande bellezza per la corazza e la presunzione del personaggio che ha rinunciato a una promettente carriera di scrittore per ricercare il sublime, che potrebbe essere rappresentato dall’andare oltre Flaubert scrivendo un libro sul nulla, rappresentato dalla società romana in cui vive. Il suo talento però è andato sprecato per pigrizia e per l’appartenenza a un mondo che disprezza profondamente ma nel quale si sente allo stesso tempo profondamente inserito perché gli permette di manifestare liberamente il proprio ego e la propria superiorità. Alla soglia dei 65 anni, però, anche Jep vuole comprendere meglio i propri lati oscuri e di ricercare delle risposte, come dimostrato dalle continue domande fatte al prete (pienamente inserito nel mondo della mondanità della capitale) e all’interesse suscitato in lui dal personaggio della maga che gli ricorda “che le radici sono importanti” e che molto spesso rappresentano la causa delle azioni presenti. La sua storia, come quella di Cheyenne, culminerà in un viaggio nel passato che lascia aperti molti interrogativi dietro il personaggio antropologicamente più complesso messo in scena da Sorrentino che in molti aspetti ricorda Tony Pagoda, protagonista di Hanno tutti ragione, romanzo scritto dal regista napoletano.

Il cambiamento talvolta può essere devastante nelle sue conseguenze come dimostra la sorte del terribile personaggio dell’usuraio Geremia de’ Geremei ne L’amico di famiglia (2006) che, in una spirale molto simile a quella del protagonista de Le conseguenze dell’amore, finirà per perdere tutti i suoi averi e ritrovandosi solo al mondo a culmine di un’esistenza viscida in cui la conoscenza della bella protagonista femminile rappresenta l’unico momento di significativa umanità. Sorrentino sembra così voler descrivere come siano sempre le passioni a cambiare la vita e a permettere agli uomini di pensarsi come “qualcos’altro”, anche se questo può portare alla distruzione della precedente esistenza. Una costante dei suoi film è la dimostrazione di come la vita riservi sempre delle sorprese che fanno in modo che ogni individuo si rimetta in gioco e si ricalibri talvolta con conseguenze drammatiche per il proprio io come accade ai due omonimi de L’uomo in più (2001), opera prima di Sorrentino, in cui entrambi i protagonisti compiono un percorso all’inverso contrassegnato da una serie di eventi che portano i due Tony Pisapia dal successo contrassegnato dalla loro fama illusoria alla più profonda solitudine e disperazione per una serie di eventi che saranno rappresentativi della loro inarrestabile discesa. Anche in quest’opera viene messo in mostra come talvolta le certezze su cui costruiamo la nostra vita siano in realtà fittizie perché basate su castelli di carta che possono essere distrutti anche da un solo episodio. Sorrentino sembra quindi volerci dire che l’unica cosa reale nelle esistenze dei personaggi è la loro coscienza con la quale, volente o nolente, devono sempre; questo viene messo particolarmente in evidenza nel suo film più controverso, Il divo, in cui viene narrato uno dei periodi più oscuri della storia italiana partendo da una rappresentazione assai singolare di Giulio Andreotti, personaggio più potente ed enigmatico della Prima Repubblica: a fronte della sua immagine impassibile “il divo Giulio” viene portato in scena come un uomo tormentato che non è più in grado di scindere la sua maschera di personaggio pubblico con la sua coscienza; egli arriverà addirittura a negare con forza a sé stesso e al suo confessore ogni tipo di collusione con Cosa Nostra e con altri poteri occulti italiani vita. La reazione stizzita dello stesso senatore a vita dopo aver assistito alla proiezione del film di Sorrentino è la conferma di come il regista abbia colto l’estrema complessità del personaggio-Andreotti descrivendolo in un modo così singolare.

Sono molte le affinità tra Il Divo e La grande bellezza, primo fra tutti il fatto che siano ambientati a Roma simbolo del potere politico e mondano italiano in cui vengono catalizzati tutti i vizi della popolazione. Un mondo palesemente finto, fatto di ipocrisie e di servilismo e nel quale l’unica cosa importante sembra appartenerci per poter mostrare di contare qualcosa in un’epoca di piena decadenza morale. I due personaggi interpretati da Servillo hanno la consapevolezza di questo e si orientano perfettamente nel loro territorio reagendo e comportandosi in modo distaccato verso tutto ciò che accade loro: essi non mostrano reale interesse verso nulla e considerano degne di rispetto solo un numero ristretto di persone. Andreotti non riuscirà a staccarsi dal proprio personaggio mentre Jep Gambardella farà un percorso che lo porterà alle origini in un ambito contrassegnato da episodi grotteschi che rimandano al Fellini di Roma, come quello del chirurgo plastico che sembra una rivisitazione in chiave moderna della sfilata degli abiti da prete anche se l’opera La grande bellezza appare sotto certi aspetti come una rivisitazione contemporanea de La dolce vita con picchi ancor più lugubri e malinconici. Indubbiamente il Jep de La grande bellezza sembra la proiezione invecchiata e non realizzata del Marcello de La dolce vita che dopo tanti anni ritorna a fare i conti con sé stesso in un’altra spiaggia.

Merita un approfondimento particolare anche il modo in cui Sorrentino descrive i personaggi secondari delle sue opere, come l’attore interpretato da Carlo Verdone ne La grande bellezza che appare come un rifiuto dell’alta società romana ma che allo stesso tempo è l’unico ad avere il coraggio di mollare tutto e di ritornare al paese per provare ad essere qualcosa di autentico. Anche Rosalba ne L’amico di famiglia con il suo alone di mistero e con la sua furbizia riesce ad andare oltre gli stereotipi del ruolo di brava sposa e a far riscoprire la vera umanità che c’è dietro il personaggio di Geremia. Le figure femminili sono estremamente significative anche in altre opere di Sorrentino come la bella Sofia ne Le conseguenze dell’amore che appare come l’unico personaggio realmente interessato a Titta Di Girolamo o la descrizione della moglie di Andreotti ne Il divo nella sua silenziosa fedeltà che va oltre i segreti dell’uomo che ha al suo fianco, con la consapevolezza di non arrivare mai a conoscerlo veramente. Merita un approfondimento anche la figura di Jane in This must be the place che appare inizialmente estremamente forte e maschile negli atteggiamenti per poi rivelarsi in tutta la sua fragilità nel corso del film. Non è certamente un caso che Jep ne La grande bellezza si mostri con maggiori autenticità solo a due donne, la sua colf e Ramona, personaggio interpretato da Sabrina Ferilli che ispirerà il viaggio sentro sé stesso del protagonista.

Nonostante la giovane età Paolo Sorrentino ha ricevuto una serie di riconoscimenti per le sue opere come il Nastro d’argento come miglior regista esordiente per L’uomo in più, i cinque David di Donatello e i tre Nastri d’argento per Le conseguenze dell’amore, il premio della giuria al festival di Cannes per Il Divo,e il David di Donatello per la miglior sceneggiatura per This must be the place oltre ai numerosi riconoscimenti ottenuti da Toni Servillo vero e proprio mattatore ne L’uomo in più, Le conseguenze dell’amore, Il divo e la grande bellezza e definitivamente consacratosi come uno dei migliori attori italiani proprio grazie ai ruoli affidatigli da Sorrentino.

È facile quindi immaginare che Sorrentino potrà realizzare ancora tantissime opere che lo potranno ulteriormente consacrare come uno dei più grandi registi contemporanei.

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tramblogy alle 18:49 del 21 dicembre 2013 ha scritto:

non credo proprio. (in risposta all ultimo paragrafo).