A Kokodè Kamigami

Kokodè Kamigami

Quando sentiamo parlare di Sumo, noi occidentali abbiamo l’idea che si tratti di una sottospecie orientale della lotta. In verità ci troviamo lontani dalla realtà. La mostra Kokodè Kamigami curata da Xavier Martel e che racchiude al suo interno le opere di Daimon Kinoshita e di Philippe Marinig ci chiarisce meglio le idee su questa speciale pratica che è più legata alla dimensione spirituale e alla ricerca. 

La mostra si trova a Palazzo Morosini ( San Marco 2803, Venezia). 

Si tratta di un lavoro unico. Le opere di Daimon Kinoshita, ovvero le sue incisioni con la tecnica di ukiyo-e (una tecnica scomparsa dopo il 1800, che faceva parte di un’antica tradizione e riportata in vita dal maestro Kinoshita). Si tratta di una tecnica nella quale per realizzare le opere sono impiegate diverse persone. Di norma sono tre gli artisti che vi lavorano dietro. La prima persona, in questo caso Kinoshita stesso realizza il disegno dell’incisione, una seconda persona si occupa di preparare la matrice su una base di legno e infine una terza persona si occupa di inchiostrare e di eseguire le stampe utilizzando i vari colori. 

La mostra si articola in varie sale. Molto curioso è il contrasto che ci viene offerto tra l’architettura tipicamente veneziana del palazzo Morosini, la sua carta da parati e i suoi ricchi decori che ben si contrappongono al rigore della calligrafia giapponese e delle 

fotografie di Philippe Marinig che con l’uso del bianco e nero evidenzia ancora di più i gesti e le posizioni dei lottatori di Sumo. 

La mostra durerà fino al 16 luglio 2017. 

L’ 11 maggio in occasione della giornata inaugurale alla quale ho avuto il piacere di poter partecipare è stato possibile ammirare una performance di calligrafia giapponese eseguita in diretta dal maestro Kinoshita. L’opera è stata eseguita su della carta di riso con impresse le foto in bianco e nero di Marinig. 

Kinoshita ha utilizzato dell’inchiostro di china per creare la scrittura e poi vi ha soffiato sopra della polvere d’argento prima che la china si asciugasse del tutto. 

Si tratta di una mostra veramente unica nel suo genere, che riesce a trasportare l’osservatore in una dimensione nuova e inedita quella delle heya (le palestre dove si allenano i lottatori) e dei dohyo (la zona di combattimento).

C Commenti

Non c'è ancora nessun commento. Scrivi tu il primo!
Effettua l'accesso o registrati per commentare.