A Il Cinema di Kim Ki-duk incanta l'Italia

Il Cinema di Kim Ki-duk incanta l'Italia

Probabilmente la prima volta che il (piccolo) grande pubblico cinefilo italiano ha potuto vedere un film di Kim Ki-duk è stata una notte di gennaio del 2004, quando Fuori orario rilascia nell'etere un flusso di cinema dedicato all'idea di isola. Tra questi film c'è L'isola, già passato alla mostra di Venezia nel 2000. Per molti il nome del regista sudcoreano è ancora sconosciuto ma il film lascia il segno. I cinefili si passano voce (ed anche i vhs). Il film si insinua nella mente dei nottambuli di Rai 3 per il suo linguaggio fatto di metafore materiche che alludono ai concetti più impalpabili dell'amore e dell'odio. Sembra una paradigma espressivo nuovo. Nel tempo in cui imperversa il post-modernismo che vede l'Occidente incapace di esprimersi su qualunque concetto che non sia già stato digerito dal suo stomaco millenario, un uomo venuto dall'Oriente ci sfida sul terreno delle idee e dei sentimenti. E lo fa con uno stile che esalta l'immagine fino allo sfinimento ma senza precipitare nell'effimero estetismo.

Ogni sua immagine è un salto sul baratro, un gesto elegante che unisce due opposte rive del senso. Ma Kim Ki-duk ha dalla sua ha qualcosa che in Occidente il cinema e l'arte sembrano aver smarrito: il coraggio di ambire alla verità. Una verità che ha la naturale conformazione di un ponte lanciato tra Oriente ed Occidente. La presenza della cultura europea nei suoi film è ben evidente, segno concreto della sua permanenza a Parigi dove ha maturato il suo amore per il cinema. Nel 2003 arriva per la prima volta nelle sale italiane un suo film, si tratta di Primavera, estate, autunno... e ancora primavera ed è una consacrazione per questo regista che realizza un'opera che vede la natura come nucleo semantico in grado di offrire metafore della vita. Da quel momento in poi per Kim Ki-duk inizia una carriera in piena ascesa, in cui il suo talento riceve riconoscimenti nei maggiori festival cinematografici. Nel 2004 è la volta de La samaritana, trattazione struggente sul concetto di vendetta innestato da sguardi sulla natura edipica del rapporto padre-figlia, opera premiata con l'Orso d'argento al festival di Berlino.

Nello stesso anno vince il Leone d'argento a Venezia con Ferro 3, film dai rarefatti dialoghi che induce alla riflessione sull'irriducibile tensione dell'uomo verso l'amore e la presenza dell'altro nella propria esistenza. Nel 2008 la carriera di regista rischia di arrestarsi a causa di una crisi che gli deriva da un grave incidente occorso alla protagonista di Dream, che rischia di morire sul set. Su questo periodo vissuto in eremitaggio realizza nel 2011 il documentario Arirang. La relazione tra Kim Ki-duk e l'Italia ha avuto la sua massima consacrazione formale qualche settimana fa, quando al Lido di Venezia gli è stato conferito il Leone d'Oro per il film Pietà, ultimo capitolo della sua analisi sul sentimento dell'odio, in cui permane una lettura molteplice del reale, per cui sentimenti e propensioni antitetiche convivono in dialettica all'interno dell'individuo. Con questo film Kim Ki-duk prende la parola anche per denunciare lo strapotere del denaro ed appare anche come incipit di una sua più complessiva critica alle ingiustizie del capitalismo come sembrava sottolineare il saluto a pugno chiuso sul palco di Venezia. Da quella notte di gennaio del 2004 sono passati otto anni, molti altri occhi hanno amato le sue opere e molti ancora lo ameranno.

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