A Gian Maria Volonté, un Attore Militante

Gian Maria Volonté, un Attore Militante

Vent’ anni fa si spegneva Gianmaria Volontè, uno dei più grandi attori della storia del cinema italiano. Personaggio schivo ed introverso fu un unico nella storia del cinema per il suo modo di intendere il cinema come una sorta di missione antropologica per risvegliare le coscienze. Lui stesso sosteneva infatti come:

Noi speriamo in un mondo che riesca a migliorare la qualità della vita di tutti: l'ambiente, la possibilità di conoscere, la possibilità di comunicare e di informare. E, sopratutto, la possibilità di eliminare tutto quello che è oggetto per distruggersi come le armi, le guerre, la pena capitale. Ed io credo che già quello sarebbe un grande cambiamento.”

Dotato di talento eccelso, non viene ingiustamente considerato alla stregua dei grandissimi del cinema italiano, anche per essersi eretto a paladino di un genere scomodo; Volontè ha spesso investito con una tenacia garibaldina in alcune opere che non hanno poi avuto successo, rinunciando a prendere parte a film più titolati che avrebbero contribuito ad incrementarne la fama. Viene così spesso dimenticato quando si parla dei più grandi attori italiani, ma le sue interpretazioni in Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto o La classe operaia va in paradiso (giusto per elencarne due) sono a tutti gli effetti un patrimonio cinematografico e culturale italiano.

Cresciuto tra mille ristrettezze economiche, Volontè si trova fin da giovane a dover sopportare il peso dell’eredità del padre, milite fascista morto in carcere per l’ uccisione di diversi partigiani durante la guerra. Il giovane Gianmaria interrompe presto gli studi per iniziare ad aiutare la povera madre, svolgendo diverse occupazioni in varie parti del mondo. Appassionato di letteratura, inizia la sua carriera di attore dividendosi tra sceneggiati televisivi e teatro, nella compagnia Teatro Stabile di Trieste. Per quel che riguarda il cinema, dopo alcuni esordi con opere di carattere prevalentemente commerciale Volontè recita per la prima volta in un film di denuncia sociale nel 1962 in Un uomo da bruciare, di Luigi Orsini e dei fratelli Taviani. La fama arriva però con le interpretazioni di Per un pugno di dollari e di Per qualche dollaro in più di Sergio Leone che vedono l’ attore nativo di Roma interpretare i personaggi di Ramon e di El Indio. Volontè vide la partecipazione a questi film come una sorta di gioco, senza aspettarsi minimamente un risultato del genere, come testimonia lui stesso un’ intervista dell’ epoca all’ Unità:

« Sto facendo un filmetto in fretta e furia per pagare i debiti del Vicario (pièce teatrale da lui prodotta e interpretata finita sul lastrico); figuratevi che è un western italiano, e si intitola Per un pugno di dollari. Lo faccio veramente per un pugno di dollari, ma certo non può nuocere alla mia carriera. Mi hanno conciato come un matto, sono irriconoscibile, e nei titoli di testa avrò persino uno pseudonimo americano, John Wells. Insomma, non corro alcun rischio. Chi volete che vada a vederlo?] »

Le opere di Leone sono infatti estremamente lontane dall’ idea di cinema del giovane attore, che comunque conserva un buon ricordo dell’ eccentrico regista romano, come dichiarerà in un’ intervista del 1979:

Sergio Leone, nel suo genere, è uno che le cose le sa fare bene. È una persona simpatica, durante la lavorazione aveva una sua voglia di giocare, una sua dimensione del gioco molto interessante."

Dopo queste interpretazioni Volontè prende parte ad altri spaghetti western, genere molto in voga all’epoca, diretti da Damiano Damiani e da Sergio Sollima e nel 1964 recita ne L’armata Brancaleone, diretta da Mario Monicelli. Dal 1968 in poi inizia a dedicarsi ad opere di impegno politico e si rivela fondamentale da questo punto di vista il connubio artistico con Elio Petri con cui realizza nel 1970 A ciascuno il suo, tratto dall’ omonima opera di Leonardo Sciascia. L’anno seguente Volontè è il protagonista di Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, film complesso e paradossale in cui l’attore milanese dà vita ad una delle sue migliori interpretazioni della sua carriera nella parte del commissario di polizia Orlandi che indaga su un omicidio da lui stesso commesso. La collaborazione con Elio Petri continua anche per La classe operaia va in paradiso, successivo episodio della cosiddetta trilogia della nevrosi in cui viene raccontata l’alienazione degli operai nei confronti della fabbrica dal punto di vista dell’operaio cottimista Ludovico Massa, che passa in breve tempo dall’alienazione alla pazzia dopo essersi reso conto dei paradossi della sua misera vita. Sempre in quest’epoca Volontè prende parte a diversi film che narrano di episodi di cronaca o di fatti storici che hanno lo scopo di denunciare le collusioni da varie classi detentrici del potere all’ epoca, come accade in Sbatti il mostro in prima pagina del 1972 di Marco Bellocchio. Volontè prende parte a diversi film di denuncia tra la fine degli anni ’60 egli anni ’70 che traggono spunto da fatti storici rappresentati al fine di indurre lo spettatore ad avere uno sguardo più approfondito sulla realtà che lo circonda. Fanno parte di questo filone I sette fratelli Cervi di Gianni Puccini (1968), Sacco e Vanzetti (1971) e Giordano Bruno di Giuliano Montaldo (1973), Il sospetto di Luigi Maselli (1975) e Ogro di Gillo Pontecorvo (1979). Si rivela particolarmente proficua la collaborazione tra Volontè e Francesco Rosi che porta alla realizzazione nel giro di pochi anni di tre opere che hanno fatto la storia del film di denuncia italiano come Uomini contro (1970), Il Caso Mattei (1972) e Lucky Luciano (1973). Lo stesso regista napoletano sostiene che

Volontè è stato, e resta, uno dei più grandi attori del cinema mondiale. Ha movimenti stupefacenti che confermano la sua ricchezza di mezzi espressivi, la sua profondità di attore”

Merita un capitolo a parte Todo Modo, ultimo film realizzato da Volontè con Elio Petri nel 1976. L’opera si ispirava a un romanzo di Leonardo Sciascia e vedeva la presenza di Marcello Mastroianni e Mariangela Melato con Gianmaria Volontè che interpretava il ruolo de Il presidente, figura ispirata ad Aldo Moro, presidente del consiglio all’ epoca. Lo stesso Elio Petri ricorda come

"La somiglianza tra i due era imbarazzante, prendeva alla bocca dello stomaco”.

L’ opera aveva lo scopo dichiarato di denunciare la corruzione, il malcostume, l'imperversare di interessi personali nella gestione della res publica italiana, ricorrendo al grottesco come unica arma possibile per denunciare senza incorrere in censure particolari. Il film venne tuttavia accolto freddamente e portò di fatto alla fine della collaborazione tra Volontè e Petri e al tramonto del filone dei film di denuncia. Il rapimento di Aldo Moro avvenuto due anni dopo contribuì inoltre a limitare notevolmente la diffusione dell’opera. Sempre in quest’epoca egli venne chiamato da Bernardo Bertolucci a recitare in Novecento (in precedenza era stato contattato anche da Francis Ford Coppola che voleva affidargli una parte ne Il Padrino) ma Volontè rinunciò perché impegnato nell’assai meno noto Actas de Marusia: storia di un massacro, opera sulla quale egli aveva investito molto.

Dopo il fallimento di Todo modo, Volontè prese parte a Il Caso Moro di Roberto Faenza in cui, intono assolutamente neutrale, interpreta per la seconda volta il segretario della democrazia cristiana nei giorni del rapimento. Sempre negli anni ’80 lavorò ancora con Francesco Rosi alla trasposizione cinematografica di Cristo si è fermato ad Eboli (1980), tratto dal romanzo di Carlo Levi e di Cronaca di una morte annunciata (1987) che si rifà all’ opera di Gabriel Garcia Marquez. A fine anni ’80 la carriera del famoso attore attraversa un periodo di declino e Volontè recitò in pellicole di scarso successo come Un ragazzo di Calabria (1987) di Luigi Comencini e Tre colonne in cronaca (1990) di Carlo Vanzina. Gli ultimi film italiani furono Porte aperte di Gianni Amelio (1990) e Una storia semplice di Emidio Greco (1991) per il quale ricevette il Leone d’ oro alla carriera. L’attore venne contattato per una parte di rilievo nel 1994 dal regista Theodoros Angelopulos per Lo sguardo di Ulisse ma Gianmaria Volontè venne stroncato da un arresto cardiaco all’ inizio delle riprese e morì a Florina il 6 dicembre 1994. Lo stesso Angelopoulos ricorda un episodio accaduto durante le riprese del film:

Abbiamo preso un autobus per arrivare a Florina passando per Skopje, Gian Maria era seduto in fondo all'autobus da solo; beveva e cantava. Penso che abbia cantato tutte le canzoni che conosceva, da Avanti popolo alla riscossa a Bandiera rossa. Ho sentito tutte le canzoni che conosceva della sinistra italiana ma credo che ci fosse qualcosa che non era vera gioia, sembrava come un addio.”

Per Volontè i il cinema era una sorta di missione autentica che lo portava a studiare o a immaginare il personaggio fin quasi all’ ossessione. Le opere che interpretava entravano completamente nella sua vita, fino a condizionare i suoi rapporti con le altre persone. Chissà quanti gesti e quante sfaccettature viaggiavano nella mente del grande attore mentre pensava a come interpretare un personaggio. È bello immaginarlo assorto, nelle sue gite in barca a vela, accompagnato dal mare verso una nuova creazione. Se per il pittore l’arte è l’idea illuminante della rappresentazione di un soggetto per lui era il gesto apparentemente insignificante che lo portava a creare un tutto organico. Salutò il cinema italiano nei panni dell’anziano professore di Una storia semplice, opera che si rifaceva all’ omonimo romanzo di Leonardo Sciascia. Durante l’interrogatorio da parte del procuratore dei carabinieri, un tempo suo ex alunno assai ignorante, il professore rispose alle vanterie del funzionario dello stato con questa frase:

L’italiano non è.. l’italiano.. ma il ragionare.. per com è in italiano probabilmente sarebbe stato ancora più in alto”.

Una frase che racchiude la filosofia delle interpretazioni di Gianmaria Volontè.

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