A Foxcatcher – L'alienazione ai tempi del capitalismo reaganiano

Foxcatcher – L'alienazione ai tempi del capitalismo reaganiano

Foxcatcher è un mirabile esempio di arte cinematografica, ed ha sicuramente meritato l'attenzione e i premi ricevuti per il suo elevato valore artistico che si fonda in buona misura sull'incredibile prestazione dei suoi protagonisti Channing Tatum, Mark Ruffalo e soprattutto un irriconoscibile (in senso più che positivo) Steve Carell. Ma il film è interessante non soltanto per il suo valore prettamente cinematografico ma anche come esempio perfetto di esemplificazione dell'alienazione nell'epoca individualistica e frammentata della “post-modernità” capitalistica. Più nello specifico l'opera si inserisce in uno dei momenti di maggiore splendore dell'imperialismo americano: quegli anni '80 sfrenati di cui già diversi autori hanno fatto notare le profonde contraddizioni nelle conseguenze psicologiche sui suoi abitanti. Si pensi al Wall Street di Stone, all'American Psycho di Mary Harron o a certe produzioni di Scorsese come Re per una notte e Fuori orario... tutte visioni nettamente antitetiche alla trionfalistica Reaganomics che ispirava filmacci propagandistici come Rambo 3, Rocky 4 o Alba Rossa.

A differenza delle opere finora citate Foxcatcher ha il valore aggiunto di ispirarsi ad una storia vera: quella dell'assassinio del lottatore campione olimpico alle Olimpiadi del 1984 a Los Angeles Dave Schultz, avvenuta nel 1996 per mano di John Du Pont, amico ed allenatore del lottatore. Ci sarebbe da chiedersi, guardando il film, quanto ci sia di vero e quanto di inventato nel soggetto di Mark Schultz: dopo aver letto alcuni articoli biografici si può rassicurare tranquillamente sul fatto che tutto quel che è presente nel film non è che una parte della vita “eccentrica” del miliardario John Du Pont.

Pensare che quest'ultimo sia solo uno svitato o un bambino mai cresciuto sarebbe un giudizio senz'altro immediato e semplice, ma in realtà occorre ragionare più in profondità: Du Pont è un personaggio su cui occorrerebbe fondere in una seduta straordinaria Freud e Marx al fine di comprenderne i comportamenti: ricco da far schifo ma totalmente disinteressato al proprio enorme impero economico lasciatogli in eredità, John è esageratamente appassionato di ornitologia e di lotta, mentre rifiuta la “vita di corte” nell'alta società, soffrendo per il fatto di non aver mai avuto alcun vero amico. Non ha una moglie o fidanzata (nella vita reale in realtà era sposato, fino al giorno in cui la moglie scappò dopo essere stata accusata di essere una spia sovietica...) mentre sembra particolarmente a suo agio con “i suoi ragazzi” di lotta, a cui pretende di fare da allenatore e da mentore, ma a cui è totalmente incapace di dare il minimo insegnamento utile che non consista nello sniffare la cocaina e godersi la vita agiata che gli mette a disposizione.

In compenso ricerca quasi morbosamente il contatto fisico maschile, cercando di calarsi improbabilmente nei panni di lottatore, arrivando anche a comprarsi la vittoria di alcuni tornei minori. Per tutta l'opera rimane il dubbio che il suo legame con Mark Schultz, il lottatore olimpionico che per primo convinse ad entrare nella sua squadra, non sia puramente professionale o di amicizia, ma che sfoci in rapporti omosessuali. Ulteriore motivo di malessere di John è il legame con la madre, di cui ricerca costantamente l'approvazione, senza però mai ottenerla. L'insicurezza costante del personaggio, e forse la volontà di espellere le proprie pulsioni omosessuali di cui si vergogna, spingono Du Pont verso compensazioni prettamente maschili: di qui l'amore per le armi, uno stile autoritario, il legame con la polizia (a cui mette a disposizione gratis il proprio poligono) e addirittura l'acquisto di un carro armato per mero divertimento personale...

Ma evidentemente tutto ciò non gli basta, e ricerca disperatamente un riconoscimento sociale ed una serie di legami relazionali forti (in contrapposizione con quello che il sociologo Bauman ha chiamato “mondo liquido”), cosa che lo conduce a stringere un fortissimo legame con Mark, personaggio altrettanto solido esteriormente ma fragile come una foglia appassita internamente. Entrambi tentano disperatamente di dare un senso alla propria vita estraniando la ricerca della propria felicità in una vita di apparenza, di obiettivi materiali fortemente simbolici che per entrambi prendono forma nella volontà di vincere le olimpiadi di Seoul del 1988. Il gioco regge per un certo periodo ma il castello di carta crolla inesorabilmente al primo scossone, mettendo in crisi il sistema valoriale sostanzialmente reazionario costruito dai due protagonisti: non manca infatti in entrambi la volontà di mascherare il proprio vuoto spirituale interiore attraverso l'approvazione di un sistema etico e politico fondato sulla prevaricazione, sul dovere, sulla grandezza della patria, sull'apparenza sociale e sull'esaltazione dell'ordine. L'alienazione e l'estraniamento dei due personaggi infine si entrano in conflitto tra loro, sancendo la rottura tra i due personaggi. Ciò avviene non soltanto a causa della degenerazione in follia di Du Pont. È lo stesso Mark a crollare per primo, incapace di reggere il peso di una vita fondata su simili contraddizioni. Prima infatti dell'ingresso di John Du Pont la sua esistenza era caratterizzata da un parziale equilibrio (tutt'altro che allegro però) attraverso il legame con il pacifico e pacato fratello Dave, colui che non a caso verrà ammazzato da Du Pont, odiato per vari motivi: il suo perfetto equilibrio familiare, il rapporto privilegiato che riusciva ad avere con Mark, i suoi successi di atleta e allenatore, e soprattutto la sua riluttanza a riconoscere il miliardario come una figura di riferimento sottomettendovisi.

In conclusione: Foxcatcher è un'opera che si può capire e apprezzare fino in fondo se si è in grado di valorizzare la sua natura profondamente grottesca con cui si presentano due perfetti ritratti di alienati dell'America “vincente” degli anni '80. Non c'è alcuna traccia di felicità nel miliardario e nell'atleta olimpionico. Essi sono invece lo specchio della più distruttiva alienazione che conduce alla follia e alla distruzione sociale e familiare, oltre che alla messa sotto accusa di un modello, quello dell'imperialismo capitalistico americano, che si pone in evidente antitesi con il classico “American Dream” tanto vantato nelle generazioni precedenti. La vita dei due personaggi è caratterizzata dalla superficialità, dall'avere, dalla fuga dalle difficoltà e da una realtà che non corrisponde ai loro desideri. I soldi e il lusso da cui sono circondati non ne fanno la felicità, anzi non fanno altro che esasperare la frustrazione nel notare che esistono persone più ricche d'animo e felici di cui non riescono a comprare l'affetto. Se Karl Marx fosse ancora vivo risponderebbe che tutti era già scritto nei suoi Manoscritti Economico-Filosofici. Freud invece punterebbe l'indice contro la palese repressione sessuale che colpisce entrambi, che non hanno mai avuto una figura femminile di riferimento in grado di gratificarli e dargli piena soddisfazione emotiva. Il tragico epilogo della vicenda è quasi una conclusione obbligata, con simili premesse.

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