A A proposito di Inside Out

A proposito di Inside Out

Dopo tre film non propriamente ben riusciti della Pixar, che hanno dato infatti dei risultati abbastanza altalenanti (la principessa guerriera di Brave – La ribelle, film femminista ma narrativamente claudicante, stretta in mezzo alla monotonia dei sequel Cars 2 e Monsters University), si cambia produttore. Katherine Sarafian, Denise Ream e Kori Rae vengono sostituiti da Jonas Rivera (Up) che decide di allontanarsi da vari prosegui di natura puramente commerciale e dalle solite fiabe classiche della Disney, per intraprendere una nuova strada con una narrazione propria e più moderna.

  All’interno della mente dell’undicenne Riley (ma anche in ogni altro personaggio del film, siano essi umani o animali), fin da quando era neonata, esistono cinque emozioni basilari: Gioia, Tristezza, Rabbia, Paura e Disgusto. Come degli “gnomici” alieni-impiegati all’interno di un’astronave, gestiscono ogni situazione della sua vita, prendendo, di volta in volta, il comando. Sfortunatamente dopo il trasferimento dal gelido Minnesota alla più calda San Francisco, lo stato d’animo di Riley attraversa un momento di confusione, solitudine e insofferenza. La frizzante Gioia non riesce a tenere alto l’umore della bambina e sembra che l’occhialuta Tristezza voglia prendere il sopravvento al comando, arrivando addirittura a “immalinconire” i ricordi passati che, invece, erano ammantati di pura felicità. Purtroppo, durante uno di questi episodi, proprio queste due emozioni vengono catapultate nei recessi della mente di Riley. Devono assolutamente tornare al quartier generale. Inizia così un viaggio grandioso attraverso un paesaggio fantastico. Abbiamo di tutto nella mente della bimba: l’amico immaginario e dimenticato Bing Bong, un elegante rosa dagli abiti clowneschi; il curioso settore dell’astrazione del pensiero; il pericoloso e oscuro oblio; e persino una via di comunicazione chiamata “il filo del discorso” che, manco a dirlo, va dappertutto! Chiaramente, con l’assenza di Gioia e Tristezza, l’equilibrio emotivo della ragazza si spezza. Non riuscendo più a distinguere fra ciò che è bene e ciò che è male, in balia delle altre tre emozioni restanti, va momentaneamente in frantumi ed è quasi sul punto di compiere (e lasciatemi passare il termine volgarotto) la prima delle tante cazzate della sua vita.

  Enormemente freudiano e con qualche riferimento hitchcockiano, Inside Out è uno dei piaceri cinematografici dell’anno e non si può che ringraziare la Pixar per questo nuovo tassello che compone la loro multiforme filmografia. Appassiona perché è una vivace storia dell’origine della Coscienza Umana, creata semplificando termini psicologici con irresistibili personificazioni.

  Un plauso va senza alcun dubbio al regista Pete Docter, che ha supportato in maniera sufficientemente esaustiva (e non senza qualche sprizzo di stravaganza), elegante e con molto calore umano una sceneggiatura in grado di portarci all’interno della mente di una bambina. Sceneggiatura che non è del tutto nuova, va detto, al grande pubblico! L’idea base di Inside Out, ed è buffo che nessuno lo ricordi ed erroneamente lo additi come un capolavoro del tutto originale in ogni sua millesima parte, è rubata a una forse poco nota sitcom Anni Novanta: Ma che ti passa per la testa? (1991–1994) di Andrew Guerdat e Steve Kreinberg. Quindi, prendete le distanze da chiunque lo elevi come opera geniale, perché così non è. Al di là di questo, il lungometraggio rimane comunque un prodotto pregevole per vari motivi visivi. I fondali sono tenui e c’è una leggera propensione a un’atmosfera low decisamente piacevole. Suono e montaggio funzionano come un musical hollywoodiano Anni Cinquanta e, quindi, in una perfetta sincronia (bravo Michael Giacchino), e persino i personaggi sono ideati come dei cartoons retrò di quel decennio, seppur dotati di una fibrosa luminescenza che, invece, allora mancava.

  Ma è il cuore di Inside Out a conquistare lo spettatore, offrendogli un insegnamento insolito e interessantissimo, che potremo riassumere in una battuta di “Filumena Marturano” (sfruttiamo la ricchezza della nostra letteratura, per una volta!): «Quant'è bello a chiàgnere!». In una vita in cui proviamo repulsione, crepacuore, terrore, ma anche divertimento e dolore, si spiega ai piccoli e ai grandi, che la tristezza (ma anche tutte le altre emozioni) non sono necessariamente negative e in contrasto con la gioia, ma sono invece alleate nell’offrire alla psiche umana nuovi stimoli all’interno di circostanze spiacevoli, come una sana risata che scoppia per la battuta di qualcuno, dopo un momento di enorme sconforto. È questa la buona e ottima ragione per cui Inside Out è un film strepitoso ed efficace sia sul piano comico che sul piano emotivo. Quindi, per i bambini sarà un’avventura caramellosa e grassoccia, che li ammalierà con lo splendore di un tenero struggimento (l’effetto ET, tanto per dargli una definizione), mentre per i più grandi, per noi, che ricordiamo la nostra infanzia e gli abbracci dei nostri genitori fra immagini di enorme serenità familiare e altre più commoventi di tempi grigi e difficili, sarà l’occasione giusta per vederlo mangiando cucchiaiate di popcorn al zuccheroso cioccolato o magari abbracciando forte il proprio figlio.

  Quasi scontata la vittoria di un Oscar per il miglior lungometraggio del 2015.

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