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R Recensione

8/10

Nostalgia de la Luz regia di Patricio Guzman

Documentario
recensione di Maria Eleonora C.Mollard

Nel periodo in cui gli scienziati si innamorarono del cielo sopra il Cile, il paese cadeva sotto un colpo di stato. Nel deserto di Atacama, le ricerche degli astronomi si sovrappongono a quelle delle donne alla ricerca delle vittime della dittatura. Patricio Guzmàn si aggiudica il Premio Cinema e diritti umani di Amnesty International alla 49ma Mostra del cinema internazionale di Pesaro, con un'opera pregna di grazia nei ricordi dolorosi del Cile.

La trasparenza dei cieli e il clima arido di Atacama, ha permesso a molti astronomi e archeologi di trovare la porta perfetta sul passato e i suoi enigmi. Tra di loro però, ci sono i parenti dei desaparecidos, ormai emarginati della società , portatori viventi di qualcosa che in molti non vorrebbero ricordare. Il documentario si snoda, grazie alla voce narrante dello stesso regista, dalle osservazioni degli astronomi e degli archeologi fino ad arrivare al passato ignorato, sebbene più recente, dei crimini della dittatura. " Il passato non esiste " asserisce l'astronomo Gaspar Galaz, perchè è una realtà  con cui convive e che fa parte del suo lavoro, ed è a grandi linee la stessa scusa usata dalle classe dirigenti a chi chiede delle risposte dopo anni di estenuanti ricerche. L'ossessione che il Cile ha verso il cielo non è dissimile da quelle delle donne alla ricerca dei resti dei propri cari in un posto arido e privo di vita come il deserto. Se questa ricerca accomuna gli scienziati e gli uomini colpiti dalla tragedia, la missione di quest'ultimi è ben più disperata e angosciante: morti loro non ci sarà  più nessuno a continuare il lavoro. La fotografia di Katell Djian è una magnifica testimonianza di quelle donne che continuano a vagare - come l'eternauta - nell'immensità  di Atacama: " Magari i telescopi non puntassero solo al cielo ma potessero vedere attraverso la terra. Per poterli trovare." confessa Violeta Berrios, mentre la camera indugia sulla speranza di chi non si ferma da più di trent'anni. E poi l'esperienza di Luì­s Henrì­quez nel campo di concentramento più grande della dittatura di Pinochet, ironicamente vicino agli osservatori. Il campo di Chacabuco venne ricavato dalle rovine di una miniera e tra il '73 e il '74, Luis e una ventina di altri prigionieri, formarono un gruppo di astronomia sotto la supervisione del dottor Alvarez che insegnò loro a riconoscere le costellazioni e a costruire uno strumento rudimentale per l'osservazione delle stelle. Se Luis con i compagni di prigionia ritrovava una libertà  interiore, Valentina, figlia di due vittime del regime, affida il suo dolore all'immensità  dell'universo, consapevole che come per le stelle tutte le cose hanno un ciclo. Il regista cileno ci offre poche e significative testimonianze, senza ripetersi, in una tragedia che ci riguarda tutti, scegliendo come scenario un luogo unico pieno di storie e Storia. Un teatro a cielo aperto il cui unico pubblico è il cielo cristallino nella sua indifferenza. Nell'accattivante e suggestiva testimonianza di poesia e sofferenza, riaffiora un pensiero di un capolavoro come  La Contessa Scalza di Joseph L. Mankiewicz.

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alejo90 alle 10:29 del 12 agosto 2013 ha scritto:

sembra interessante, anche se non ho ben capito come si legano le vicende degli astronomi con quelle dei parenti dei desaparecidos...

MariaEleonora, autore, alle 11:39 del 12 agosto 2013 ha scritto:

Il regista durante il documentario chiede ai vari scienziati di fare una riflessione sugli eventi drammatici che hanno portato le donne cilene a vagare in quel deserto, da loro usato come punto ideale d'osservazione. Ed è interessante notare come la ricerca di queste persone comuni sia così affine alla ricerca degli astronomi: scandagliare un passato che non vuole rivelarsi, vuoi per la politica cilena, vuoi perchè il passato dell'universo si rivela poco a poco.

alejo90 alle 14:06 del 12 agosto 2013 ha scritto:

mmm capisco...sembrerebbe un'analogia difficile da tenere insieme in un film, ma dal voto della tua recensione e da quello che scrivi pare che il regista ci sia riuscito; questo mi rende ancor più curioso in proposito, chissà se ci sarà occasione di vederlo...

MariaEleonora, autore, alle 16:33 del 12 agosto 2013 ha scritto:

I think so

Più che un documentario è un lavoro quasi poetico,e il fascino esercitato da ogni fotogramma dona una coerenza di fondo alla storia... ma capisco perfettamente le tue perplessità .