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5/10

Where To Invade Next regia di Michael Moore

Documentario
recensione di Francesco Ruzzier

 

questa volta la missione di Moore è quella di invadere degli stati stranieri nei panni di un esercito da un uomo solo. Tre solo le regole di questa strana campagna militare: non sparare a nessuno, non saccheggiare petrolio e cercare di tornare con qualche soluzione già esistente altrove per risolvere i gravi problemi della società americana.

 

Che lo si ami o lo si odi, a Michael Moore (e con lui a Tarantino che nel 2004 gli diede la Palma d'Oro al Festival di Cannes) va senza ombra di dubbio riconosciuto il merito di essere riuscito laddove nessuno mai prima di lui: riuscire a costruire dei documentari blockbuster, diventando con pochi film una vera e propria celebrità e riuscendo a raggiungere con le sue inchieste una fetta di pubblico che il documentario non sapeva nemmeno cosa fosse. Complici anche gli argomenti scottanti e politicamente scorretti, il regista di Farenheit 9/11 ha fatto della sua imponente presenza scenica un marchio di fabbrica riconoscibilissimo e nel bene o nel male è sempre riuscito a far parlare di sé e dei suoi film. Il suo approccio personalissimo e esageratamente di parte ha rappresentato nella sua carriera sia il punto di forza che il limite del suo tipo di cinema.

In Where to Invade Next, presentato fuori concorso alla 66ª Berlinale, tutti i limiti dell'approccio del regista americano, purtroppo, emergono come mai prima d'ora. Purtroppo per noi, Moore decide di iniziare il suo viaggio proprio dall'Italia, dove vuole dimostrare quanto siano funzionali per il benessere dei dipendenti le ferie pagate. Il problema è che per farlo decide di intervistare una coppia piuttosto benestante, che per passione gira il mondo ogni volta che ne ha occasione, sfruttando pienamente le 4 settimane di ferie pagate concesse dal proprio lavoro, e i direttori di due ditte d'eccellenza, che, cercando palesemente di fare una buona pubblicità per la propria azienda, parlano di quanto i dipendenti lavorino meglio quando sono rilassati. Ecco quindi che i limiti dell'operazione vengono subito a galla: può essere credibile come prova una sola coppia intervistata per rappresentare 61 milioni di persone? È sufficiente il direttore della Ducati per parlare di tutti i posti di lavoro dell'Italia? Ovviamente no.

È chiaro che in questo caso l'intento del regista non sia quello di avvalersi di dati statistici specifici, quanto piuttosto quello di ricercare degli spunti e delle idee stereotipate e lontanissime dalla cultura americana, con l'intento di far riflettere e divertire i propri concittadini: si passa quindi dalla Francia alla Germania (il segmento forse più riuscito), dalla Slovenia alla Tunisia, cercando di trovare in ognuno di questi stati situazioni idilliache che migliorerebbero l'America.

Come al solito la confezione del film è veramente efficace e riesce, complice anche un tono decisamente più leggero rispetto al solito, a strappare più di qualche risata e ad intrattenere per tutti i (forse troppi) 119' minuti. Where to Invade Next resta però un'operazione che lascia un po' il tempo che trova, ma in fin dei conti sembra pensata e realizzata ad uso e consumo quasi esclusivo del pubblico americano, quindi probabilmente a loro va bene anche così.

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