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R Recensione

8/10

A River Change Course regia di Kalyanee Mam

Documentario
recensione di Barbara Scalco

Kalynaee Mam osserva nel corso di due lunghi anni la vita di alcuni villaggi della Cambogia. Ne indaga la bellezza ma sopratutto ne denuncia i pericolosi cambiamenti.

Tutti sappiamo che il mondo occidentale, come noi lo conosciamo, non rispecchia al completo l'identità del nostro pianeta, malgrado questo non tutti conoscono o almeno hanno la curiosità di capire cosa avviene davvero nell'altra metà apparentemente così distante da noi. Forse è per disinteresse ma più probabilmente è perchè l'uomo occidentale è troppo preso dalla sua vita frenetica per potersi permettere il lusso di fermarsi un momento a riflettere.

Eppure risulta davvero strano come, da questo documentario si riconoscano nei protagonisti pensieri e parole che in realtà ci appartengono e nei quali più di una volta in qualche modo ci rispecchiamo: le stesse preoccupazioni, lo stesso sguardo rivolto al futuro, le stesse speranze, incertezze e la stessa infernale dipendenza dal denaro. Cosa c'è allora di veramente diverso? Vita, usi e costumi sono inevitabilmente differenti ma quello che colpisce l'occhio e lo attira verso di sé è il verde, la sua onnipresenza e bellezza. Ovunque si guardi il paesaggio è natura allo stato puro, affascinante e selvaggia come è sempre stata e come dovrebbe continuare ad essere mantenuta. Come sembrano romantiche per noi queste figure che da mattina a sera lavorano per e con la terra coinvolte nel corso dell'intero ecosistema. Pesca, agricoltura e piccolo commercio sono le attività principali che da anni alimentano i villaggi lungo il fiume che attraversa la Cambogia: il Tonle Sap.

Kalyanee Mam, avvocata e regista cambogiana, gira questo documentario nel corso di due anni, durante i quali si sofferma su tre vite in particolare, le vite di tre ragazzi costretti ad andarsene lontano dalla propria famiglia in direzione della capitale Phnom Penh la quale, squallida e sporca in realtà non ha nulla di attraente se non per quelle comodità che i villaggi non si possono permettere.

Cosa spinge allora questi ragazzi a raggiungere la città se non la mancanza di lavoro e denaro? Al loro villaggio ormai si è costretti a lavorare duro senza la certezza di avere cibo per il giorno dopo e i pochi soldi che avanzano servono per pareggiare i conti con le banche che sì, sono arrivate fin lì.

Improvvisamente dunque si capisce cosa si cela dietro quello sguardo afflitto e triste dei protagonisti e delle loro famiglie, quello che spaventa davvero queste persone è il cambiamento, perchè quello che una volta era un villaggio ora rimane solo un “paese per vecchi” dal quale i giovani sono costretti a scappare per poter lavorare nelle fabbriche della città, le quali a stento daranno i soldi necessari per garantire un minimo di istruzione ai fratelli più piccoli. Oltre ai giovani a scomparire sono anche i pesci e le foreste, oggetto di disboscamenti sempre più frenetici da parte di uomini che forse non pensano che quegli alberi erano l'unica fonte di sussistenza di intere famiglie.

Kalyanee ci prova, prova a spiegare al mondo le preoccupazioni della sua gente per mezzo questo documentario schietto e sincero. Quello che ci mostra è la vita quotidiana, i problemi di ogni giorno, i bimbi piccoli da accudire, i panni da lavare e il lavoro da sbrigare. La regista sembra chiedere al mondo di prenderselo quel minuto per fermarsi a pensare, e se davvero ci sentiamo troppo distanti da quel paese per riuscire a preoccuparcene allora forse è il caso che pensiamo a quelle foreste e a quella terra che ogni giorno calpestiamo e chiediamocelo una volta per tutte:” Il verde? Dov'è?”.

 

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