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10/10

Walden - Diaries Notes and Sketches regia di Jonas Mekas

Documentario
recensione di Giulia Bramati

Jonas Mekas racconta le bellezze della sua città di adozione, New York, attraverso un poetico video-diario realizzato tra il 1964 e il 1968 con una Bolex 16 millimetri.

Walden” nasce con un preciso obiettivo, ben dichiarato dal suo autore: la celebrazione del mondo attraverso l'occhio diretto della macchina da presa, una Bolex 16 millimetri. A dieci anni dal suo arrivo a New York, Jonas Mekas decide di mostrare le bellezze della città che lo ha accolto in un'opera poetica e visionaria che raccoglie esperienze di vita suggestive.

Sin dai primi fotogrammi, il regista dichiara il suo intento di eludere una narrazione lineare, focalizzandosi sulla sfera della percezione. Si alternano sequenze a colori ad altre in bianco e nero, in un crescendo di immagini, suoni, rumori che evocano sensazioni sempre nuove e diverse, mai banali, risultato certo molto difficile da raggiungere data la notevole lunghezza del film, ben 177 minuti. I sei reels che compongono l'opera raccolgono in ordine cronologico incontri, cerimonie, esperienze che il regista ha vissuto tra il 1964 e il 1968, con l'aggiunta di un paio di flashback risalenti ad anni precedenti. L'approccio registico non è omogeneo e cambia in base ad ogni singola situazione; si mantiene però costante un montaggio molto veloce, arricchito dall'uso di sovrapposizioni di sequenze. Talvolta il regista interviene attraverso un commento audio, in cui fa riferimento ad alcuni temi del Manifesto del New American Cinema Group, da lui pubblicato nel 1960.

I make home movies therefore I live. I live therefore I make home movies dichiara Mekas nel primo reel, sottolineando lo stretto legame tra la dimensione reale e quella filmica, nuovamente ricordato nel reel 5 dove dice: Nothing much happens, just images for myself and few others. Il cinema di Mekas è dunque un cinema privato, personale, fortemente legato alla realtà che lo circonda, osservata con grande curiosità, ma al contempo è un cinema che cerca la complicità di questi pochi altri che insieme a lui colgono le bellezze che il mondo offre ogni giorno. È uno sguardo rispettoso nei confronti di una città che ha rappresentato per lui una seconda occasione. Originario della Lituania, Mekas vive una giovinezza inquieta, essendo stato più volte deportato in un campo di lavoro. Le difficili condizioni in cui si trova l'Europa in questi anni, segnati da sofferenza e distruzione, spiegano il grande entusiasmo con cui egli osserva il nuovo mondo in cui è approdato nel 1949.

In Walden, egli adotta un approccio erodoteo alla narrazione, volto a mostrare le bellezze di una realtà altra rispetto alla propria, di cui però anche lui fa parte, pur restando un elemento estraneo. Sceglie dunque di mostrare le immagini più singolari delle sue giornate - dall'incontro con Carl Theodor Dreyer a quello con John Lennon e Yoko Ono, dalla partecipazione a spettacoli circensi ai diversi matrimoni degli amici - attraverso una prospettiva onirica. E il tema del sogno riaffiora spesso anche nei rari dialoghi e monologhi presenti. A questa dimensione, si accosta però anche la forte necessità di restare ancorato al reale, resa evidente già dalla dedica del film ai fratelli Lumiere.

Mekas risolve questa ossimorica dicotomia con grande maestria, regalandoci un capolavoro ai limiti della video-arte.

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