R Recensione

6/10

A Dream of Iron regia di Kelvin Park

Docu-fiction
recensione di Alessandro Giovannini

L'industrializzazione della città portuale di Ulsan ha portato la Corea verso la modernità, ma ha anche segnato il definitivo tramonto di quell'età di comunione con la natura e adorazione degli dei (rappresentati come balene nei pittogrammi rupestri della zona) alla prostrazione di fronte al Dio della macchina (al Dio denaro?).

Stranza esperienza quella di A Dream of Iron. Appuntamento al buio, ovvero film scelto completamente a caso e all'oscuro di trama, regista eccetera. A sorpresa, uno dei film più sperimentali del festival (non per niente il regista è un videoartista), una docu-fiction che ricorda quella, non altrettanto riuscita, di L'ultima volta che vidi Macao. Anche questo film presenta qualche problema nel conciliare le sue due anime, ma andiamo con ordine: la parte documentaristica, preponderante, riguarda la costruzione nei primi anni '70 di un enorme cantiere navale nella città portuale di Ulsan, divenuto simbolo dell'industrializzazione della Corea moderna. Dalla sua fondazione si passano ad esaminare le lotte operaie per gli aumenti di salario e la condizione attuale di chi vi lavora, insoddisfatti forse più di prima perchè ad una maggiore ricchezza si è affiancata una paurosa carenza di rapporti umani che ricorda la modernizzazione nipponica. La parte di fiction è invece rappresentata da una voce narrante che impersona un uomo la cui compagna ha deciso di troncare la loro relazione per farsi monaca, il che offre al regista l'occasione di affiancare le immagini della fabbrica a quelle degli antichi rituali del folklore coreano, in una opposizione un po' stantìa che vede la modernità cattiva ed alienante a confronto di un passato idilliaco.

E' un peccato, perchè la componente documentaristica offre squarci suggestivi , che ricordano le visioni pseudo-fantascientifiche di Apocalisse nel deserto di Werner Herzog: panoramiche aeree su sterminati scheletri di navi, laminati, pistoni, fornaci, gru e macchinari ciclopici, una sinfonia visiva un po' surrealista alla Le Ballet Mécanique, ma angosciosa come un film cyberpunk di Shinya Tsukamoto. Il ritmo è però spezzato da riprese subacquee di balene o di rituali monacali: come ha potuto Park non accorgersi dei rovinosi cali di ritmo che questa scelta ha comportato?

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