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9/10

Un Tram che si Chiama Desiderio regia di Elia Kazan

Drammatico
recensione di Gloria Paparella

Tormentata dalla morte del marito, Blanche DuBois si trasferisce a New Orleans a casa di sua sorella Stella. Qui avrà a che fare con le maniere brusche del cognato Stanley, con il quale si instaura un ambiguo rapporto di attrazione-repulsione che porterà al definitivo crollo psichico di Blanche.

Nata dalla mano del drammaturgo Tennessee Williams, Un tram che si chiama desiderio è una bellissima opera teatrale che debuttò a Broadway nel 1947 per la regia di Elia Kazan, il quale decise di farne una versione cinematografica nel 1951. Nel film Kazan mantiene la maggior parte del suo impianto scenico, ma la sceneggiatura risulta notevolmente modificata per soddisfare le richieste del noto Codice Hays (codice di autoregolamentazione censoria). Nella versione originale, infatti, si parlava dell’omosessualità del marito di Blanche e dello stupro subito dalla stessa da parte di Stanley il quale, nel film, si “limita” a picchiare la cognata. Il cast è formato per la maggior parte dagli stessi attori che recitarono a Broadway, con l’importante eccezione di Jessica Tandy, sostituita da Vivien Leigh, che aveva interpretato il ruolo di Blanche a Londra sotto la direzione del marito Laurence Olivier.

Un tram che si chiama desiderio, il cui titolo prende il nome dal mezzo che conduce la protagonista a New Orleans, è una storia di dolore e di violenza, di cui la versione cinematografica è in grado di rivelare maggiormente le emozioni e la sofferenza di Blanche (Vivien Leigh), donna mentalmente fragile che si trasferisce a casa della sorella Stella (Kim Hunter) in seguito alla morte del marito. Il regista crea un nuovo tipo di narrazione, portando sullo schermo la vita interiore del personaggio, le sue crisi di nervi e il suo passato tenebroso come seduttrice di giovani studenti. A metterla alla prova è il rozzo marito di Stella, Stanley (Marlon Brando) che non si fa convincere dalle maniere apparentemente educate della donna, la quale però si sente attratta quasi per natura da quest’uomo così forte e così virile che sembra poterla distruggere. Un rapporto tanto intenso quanto violento tra i due che finirà per abbattere l’equilibrio mentale di Blanche, la quale verrà internata in un manicomio.

Nonostante la regia di Elia Kazan sia spesso eccessivamente teatrale (il suo modo di dirigere gli attori risulta talvolta troppo “studiato”), egli riesce ad ampliare e, in un certo senso, esasperare la sensibilità dei personaggi permettendo allo spettatore di comprendere la loro storia. Viene trasmessa dunque l’immagine di una donna abbandonata, debole, ma allo stesso tempo intelligente e con grande senso dell’umorismo quale è Blanche; di una donna oppressa dalla brutalità del marito ma a lui fedelmente legata come lo è Stella; e, infine, di un uomo tradizionalista, protettivo e primitivo nei comportamenti e nel linguaggio come Stanley. Lo squallido appartamento in cui è girato gran parte del film è lo spazio scelto dal regista per mettere sotto la lente d’ingrandimento la personalità dei protagonisti, le cui parole più delle azioni rendono dinamica la messa in scena.

Inizialmente il clima sul set non era dei migliori: da un lato Marlon Brando non apprezzava lo stile manieristico e l’impostazione classica di Vivien Leigh (malata tra l’altro di tubercolosi e, dunque, molto debole fisicamente), dall’altro la stessa attrice inglese era irritata dal continuo bisogno di lui di scavare nel personaggio. I due riuscirono però ad apprezzarsi a vicenda e a diventare buoni amici, e nel film i loro stili di recitazione si fondono, regalando due delle migliori interpretazioni della loro rispettiva carriera. Marlon Brando, bellissimo e rude in jeans e maglietta bagnata dal sudore, cerca di trovare nuove sfumature dopo la lunga esperienza teatrale nei panni di Stanley e, nonostante qui fosse solamente al suo secondo ruolo da protagonista, dimostrò di essere uno dei talenti più limpidi e di spessore dell’Actor’s Studio. L’eccentricità e la sensibilità di Vivien Leigh diventarono elementi preziosi per la caratterizzazione di Blanche come una donna che riesce a vivere solo se desiderata ed amata, e quella dell’attrice di Via col vento, per la seconda volta premiata con l’Oscar nel 1952, è una delle rare interpretazioni capaci di evocare pietà e timore. Il film, che ottenne altre tre statuette per il Migliore Attore e la Migliore Attrice non protagonisti (Karl Malden e Kim Hunter) e per la Migliore Scenografia, è una delle migliori opere di Elia Kazan il quale, da grande innovatore del teatro di Broadway, ha costruito una storia su cui aleggia un'aria sospesa tra realtà e sogno (la magia di cui parla la stessa Blanche), facendo di una pièce teatrale un grande classico del cinema che merita di essere visto e rivisto.

 

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