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9/10

Tutto quello che vuoi regia di Francesco Bruni

Commedia
recensione di Alessandra Graziosi

Un ragazzo di 22 anni, Alessandro, vive vicino ad un signore di 85 anni, Giorgio. I due non si conoscono e appartengono a due mondi completamente diversi. Alessandro accetta un lavoro come accompagnatore di Giorgio.

 

Perché ci sembra quasi sempre più facile parlare con i nonni o con gli anziani rispetto a comunicare con i nostri genitori? Vuoi vedere che i salti generazionali più grandi avvicinano invece che allontanare le persone? A queste domande prova a dare una risposta Francesco Bruni, già regista del piccolo capolavoro Scialla! e del corale ritratto di famiglia Noi 4.

Con Tutto quello che vuoi, Francesco Bruni, storico ed eccellente sceneggiatore da decenni per Virzì e molti altri autori italiani, riesce nella titanica impresa di portare sul grande schermo un film adatto pressoché a tutti ed al tempo stesso una storia molto personale su quel meraviglioso rapporto che tutti abbiamo prima o poi con la senilità e l’invecchiare dei nostri cari.

Tutto quello che vuoi, terzo lungometraggio da regista dell’Insegnante e oramai Maestro di Cinema Bruni, mette in scena un buddy buddy corale e in parte classico con l’esordiente-scoperta Andrea Carpenzano al fianco di un pezzo di storia vivente del cinema alias Giuliano Montaldo, qui nel ruolo di un poeta eccezionale e sconosciuto, oltre che metà irresistibile del duo comico agrodolce costituito dai due protagonisti.

Storia, sceneggiatura e dialoghi si dimostrano sin dallo spassoso prologo puntuali, forieri di freschezza, verità e semplicità, mentre ogni personaggio si rivela interessante e verosimile come minimo in qualche sfaccettatura.

Il pubblico può godersi in tutta tranquillità vicissitudini che potrebbero capitare ad ogni giovane o vecchio ma che sono così ben scritte e interpretate da non cadere mai nel cliché, e quando quest’ultimo c’è viene scavalcato al contrario.

Notevole è anche l’aspetto tecnico oltre che recitativo di Tutto quello che vuoi, a partire da una sapiente regia, che si approccia alla storia con umiltà e non si scolla mai dal racconto, anzi lo esalta grazie alle analogie registiche dei dejavù e dei lapsus. Questo è quello che il Cinema con la C maiuscola sa fare, ovvero rendere senza pedanterie una storia e i suoi punti di vista, anche e soprattutto quando il punto di vista diventa incerto poiché è incerto nella memoria e/o nella percezione di chi lo possiede. Una regia quella di Bruni bella, limpida, funzionale, abile nell’esaltare la storia senza retorica o brusche sottolineature. L’aspetto profondo della sotto-trama storica– che sotto-trama non è, ma piuttosto si fa fiume carsico della storia - non fa altro che dare ulteriore spessore spazio-temporale e avventuroso al film, con una folle e graziosa piega on the road sempre più trans-generazionale: una “deviazione-non deviazione” come si usa negli indie on the run di sempre. Si tratta del resto di un lungometraggio che tratta con cognizione di causa e leggerezza anche la questione un bel po’ spinosa della cultura giovanile e non in Italia…

Per quanto riguarda gli altri aspetti, la coralità di tutti gli attori - i grandi, i grandissimi, i meno conosciuti ai più e gli esordienti, uno al fianco dell’altro - si rivela ben rodata e perfettamente allineata nei rispetti ruoli, il tutto frutto di talento personale, di un ottimo lavoro di casting oltre che di direzione degli attori.

Ogni personaggio sembra essere uscito dalle nostre vite, sembra di averlo già incontrato da qualche parte, magari in un vicolo di Trastevere, di Testaccio, o del proprio quartiere, ovunque esso sia.

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