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5/10

The Sea Of Trees regia di Gus Van Sant

Drammatico
recensione di Francesco Ruzzier

un uomo americano, interpretato da Matthew McConaughey, non riuscendo a sopportare il dolore a causa di un lutto, decide di recarsi nella foresta che dà il titolo al film, uno dei luoghi più misteriosi del Giappone, dove giungono ogni anno centinaia di persone per porre fine alla propria vita. Lì si ritroverà a dover salvare una persona morente, abbandonando così l'idea del suicidio per intraprendere un metaforico cammino verso la vita. La foresta assume nel film il valore simbolico di un purgatorio, dove ogni ricordo conferisce agli eventi un valore quasi sacro.

Gus Van Sant è, o è stato, uno dei registi che più hanno influenzato il cinema americano degli ultimi anni. Nella sua carriera ha spesso alternato due tipologie di opere, una più autoriale e sperimentale e una invece più "commerciale" e aperta al grande pubblico. The Sea of Trees, presentato in concorso al 68º Festival di Cannes, appartiene di certo alla seconda categoria, però, nonostante questo, contiene al suo interno qualche elemento che lo rende uno dei film più autoriali della "categoria" commerciale, a partire dall'argomento - la morte - che rappresenta una delle tematiche maggiormente esplorate dal regista nei suoi film più personali.

Il regista di Elephant ha voluto costruire il film su due binari, affiancando al sentiero più mistico un percorso costruito da flashback che raccontano allo spettatore gli eventi che hanno spinto il protagonista a voler compiere un gesto così estremo. Purtroppo però una struttura di questo tipo, gestita in maniera piuttosto schematica, non riesce a creare durante il film nessun tipo di tensione perché il fiume dei ricordi possiede in sé un epilogo già scritto dal primo minuto e soprattutto manca di una correlazione diretta con quello che è il cammino intrapreso dal protagonista. I due binari scorrono parallelamente senza incrociarsi mai, evidenziando così una struttura troppo artificiosa per emozionare.

Il lato più interessante del film è sicuramente rappresentato dall'elemento fiabesco che pian piano si insinua all'interno del cammino del protagonista, fino a plasmare l'intera struttura del racconto. La dimensione fiabesca è ben supportata dalla location giapponese e si adatta in maniera piuttosto convincente al cammino del protagonista. Con il passare del tempo, però, Van Sant sembra calcare troppo la mano sui simbolismi, rendendo ogni cosa troppo marcata per sembrare naturale ed entrando in netto contrasto con la sincerità dei sentimenti che vorrebbe mettere in mostra e a conti fatti la riflessione sulla morte non riesce a raggiungere le vette raggiunte dai film più riusciti del regista. Certo è che se tutti i film "meno riusciti" fossero così, non potremmo di certo lamentarci, anche se da un regista dal calibro di Gus Van Sant è lecito aspettarsi decisamente di più.

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